BRUXELLES. Il piano industriale presentato da TIM prevede un cambio di passo fondamentale: la separazione della rete telecom, il cui impatto effettivo è ancora però prematuro da valutare. Se infatti tale riorganizzazione sarà seguita dalla vendita della rete (NetCo) a terzi, allora ci troveremo di fronte ad un unicum in tutta Europa, poiché per la prima volta avremo un operatore storico che si libera dell’infrastruttura ed affronta il mercato con una struttura “agile”. Al momento, l’unico precedente comparabile è la vendita della rete mobile da parte di BT negli anni 2000, anche in quel caso un’operazione spinta dal peso dell’indebitamento (salvo che poi BT la rete mobile se l’è ricomprata). Se invece TIM non dovesse essere in grado di vendere la NetCo, oppure mantenga una sorta di controllo su di essa (come nel precedente progetto di Gubitosi), in tal caso non vi sarebbe alcuna novità di rilievo, poiché tali operazioni si sono già verificate in Europa nel fisso (Regno Unito, Svezia, Cechia, Danimarca) e non hanno peraltro sconvolto il mercato né la prassi regolamentare.
La separazione della rete TIM resta quindi un passaggio fondamentale nel percorso di TIM verso il raggiungimento dei nuovi obiettivi strategici e la riduzione del debito, ma da sola non può bastare. Per arrivare in fondo occorrerà invece chiudere la negoziazione con Cassa Depositi (e gli altri fondi interessati), prima per vendere la NetCo e poi per fonderla con Open Fiber. Un’operazione complessa che resta tutt’ora appesa a numerose alee.
Il primo ostacolo è quello della valorizzazione degli assets, un tema controverso non solo per le differenze di vedute tra i soggetti interessati, ma anche perché su di essa pesa un potenziale scrutinio della Commissione europea: se infatti gli assets di NetCo fossero soggetti ad una iper-valutazione che comporti un maggiore esborso da parte di Cassa Depositi, gli uffici di Bruxelles competenti per gli aiuti di Stato potrebbero interessarsi del caso e valutare se non vi sia un uso distorto di fondi pubblici. La prassi della Commissione europea sui fondi sovrani è ancora molto scarsa ma non è da escludersi un primo intervento col botto.
E poi c’è il tema antitrust, che molti a Roma danno per superato ma che invece resta delicato. Come già osservato da alcuni rappresentanti della Cassa, il tempo non gioca a favore della Rete Unica, perché più Tim ed Open Fiber vanno avanti con i rispettivi piani d’investimento, meno l’operazione Rete Unica appare difendibile, anche alla luce dell’esito delle gare grigie (vinte appunto dai due promessi a nozze). Nel resto d’Europa, infatti, non si intravedono fusioni nel settore fisso per incoraggiare la cablatura, al contrario si continua difendere la competizione. Se quindi in Italia si vuole portare avanti l’operazione, occorrerà fare presto per convincere Bruxelles, la quale altrimenti continua a vedere con maggior favore la continuazione del sistema competitivo innescato con Open Fiber nel 2016. Per farcela il governo italiano dovrebbe sostenere che le abitazioni da cablare sono ancora tante (circa 10 milioni, un terzo del totale) e dimostrare che la fusione faciliterebbe lo switch-off della rete in rame.
Sarà. Nel frattempo però altre complicazioni arrivano dall’accordo riservato tra Cassa Depositi e Tim sul percorso verso la Rete Unica, un documento che doveva restare confidenziale ma che alla fine è stato pubblicato. Nel documento si legge che NetCo concederebbe a ServCo, la società dove TIM concentrerebbe le attività retail, condizioni differenziate rispetto agli altri operatori italiani. Si parla di fibre dedicate per quanto riguarda il mercato business e la rete mobile, nonché la possibilità di sconti a volumi. Se tutto ciò fosse confermato negli accordi finali, l’autorizzazione antitrust da parte di Bruxelles diventerebbe ancora più difficile, perché la famosa rete neutrale, garante di tutta l’operazione e declamata dallo stesso Ministro Colao, non sarebbe invece così tanto neutrale, in quanto tratterebbe con maggior favore uno dei suoi clienti, la ServCo di TIM appunto. Verrebbe quindi meno il maggiore argomento a favore dell’autorizzazione antitrust.
Il perimetro della NetCo dovrà pertanto essere oggetto di attente analisi. Nel frattempo, potrebbe scoppiare un’altra grana, questa volta di natura regolamentare. TIM è da oltre un anno impegnata nella procedura di autorizzazione del coinvestimento, un passaggio che prevede interlocuzioni complesse con AGCOM, AGCM (l’antitrust italiana) e Bruxelles. La procedura, che era in fase avanzata, è stata ora fatta ripartire per valutare un tema spinoso, quella dell’indicizzazione dei prezzi per via dell’inflazione. Ma coinvestimento e Rete Unica non possono convivere, sono due modelli incompatibili. A Bruxelles se ne sono già accorti, ma aspettano che a Roma sia l’autorità italiana AGCOM a stanare TIM sul punto, chiedendo all’incumbent cosa vuole veramente fare: coinvestimento o Rete Unica? Tertium non datur. Per ora, AGCOM è andata avanti ignorando il problema, poiché le notizie circa la Rete Unica arrivano da fonti di mercato o finanziarie, e non ufficiali, ma è improbabile che gli uffici di Via Isonzo possano continuare a lavorare su un progetto che sui giornali è già superato. Un chiarimento è pertanto imminente: se TIM insistesse con il coinvestimento, sorgerebbe la domanda se il progetto alternativo, la Rete Unica, sia veramente credibile.
@InnoGenna