Le conversazioni di Patrizia Armellin con Angelica Cormaci nelle motivazioni dei giudici della condanna per il delitto Vaj
VITTORIO VENETO. Patrizia Armellin e Angelica Cormaci avevano pianificato da tempo di uccidere Paolo Vaj. È quanto sostengono i giudici della Corte d’Assise di Treviso nelle 58 pagine delle motivazioni della sentenza di condanna delle due donne per l’omicidio di Paolo Vaj, commesso nella notte tra il 18 e il 19 luglio, nella casa di via Cal dei Romani a borgo Olarigo, sulle colline di Vittorio Veneto. Patrizia Armellin è stata condannata in primo grado a 24 anni di galera, mentre Angelica Cormaci dovrà scontare 16 anni. Per i giudici le due donne avevano in animo da tempo di uccidere l’uomo, all’epoca 57enne, originario di Milano, ma conosciuto nel Vittoriese per aver gestito, seppur senza successo, assieme alla compagna Armellin, il ristorante e birreria “Ca’ dei Mat”. Lo si evince dal tenore dei loro messaggi nei mesi e nelle ore prima dell’omicidio di tre anni fa.
Come quello intercorso tra le due il 31 dicembre 2018, sette mesi e mezzo prima del delitto, in cui Patrizia Armellin, dopo avere scritto alla Cormaci che Vaj era “fuori di lui” scriveva “è pazzo, che vuoi fare, deve crepare stop” e la Cormaci rispondeva: «Me lo auguro». Altro importante messaggio, ai fini della decisione, è quello delle 9.37 del 2 gennaio 2019, dove Patrizia scrive riferendosi a Paolo: «Lui vuole me ma alle sue condizioni ma per me può e deve crepare».
E rispondendo alla Cormaci che parla dell’eredità di Vaj (Patrizia era designata erede nel testamento e beneficiaria di ricche polizze, ndr) Patrizia Armellin dice: «Li voglio quei soldi, mi ha fatto passare l’inferno per 20 anni... tu non hai la più pallida idea di che cosa mi abbia fatto, se fossero quantificati in tribunale, non basterebbero, oltre la galera... eh porca troia creperà o no?». Oppure il 28 gennaio quando Armellin scriveva: «Lui deve morire, punto» e la Cormaci rispondeva: «Ma lui per me può morire anche ora subito». Fanno ancora più impressione i messaggi scambiati il pomeriggio del 18 luglio 2019, poche ore prima del delitto. In uno Cormaci dice: «Faremo fuori Paolo e saremo felici, di questo non devi dubitare».
«Dal complesso di questi messaggi - scrivono i giudici a pagina 46 delle motivazioni - emerge chiaramente che la Armellin e la Cormaci maturavano e coltivavano, da mesi, la risoluzione di eliminare Vaj: Armellin perché sperava finalmente di beneficiare delle disposizioni patrimoniali già effettuate da Paolo Vaj a suo favore, cioè le polizze a lei intestate e i lasciti testamentari, la Cormaci invece vedeva Vaj come un ostacolo alla formazione di una nuova famiglia nella quale la Armellin avrebbe potuto farle da madre dandole quella sicurezza affettiva che le era mancata per tutta la vita».
Paolo Vaj fu ucciso dopo un’aggressione a due riprese: la prima avvenuta nella camera da letto, dove la vittima fu colpita violentemente e ripetutamente con il ferma-imposte, e l’altra in un’altra stanza dove fu ritrovato il cadavere, dopo che sia Cormaci che Armellin gli salirono sul torace e lo soffocarono con il cuscino. Nelle motivazioni i giudici, oltre a sposare in toto il quadro accusatorio fornito in aula dal pubblico ministero Davide Romanelli, smontano la tesi della legittima difesa, perché «contraddittoria e non rispondente alle risultanze probatorie».
I giudici rilevano infatti come nella telefonata d’allarme lanciata dalle due donne ai carabinieri la notte del delitto parlino di un’aggressione da parte dell’uomo con loro costrette a difendersi «con le mani e con un bastone». Poi ai sanitari accorsi al civico 7 di via Cal dei Romani riferiscono di una caduta dalle scale di Vaj, tranne poi, una volta nella caserma dell’Arma di Vittorio Veneto, intercettate dai carabinieri mentre aspettano di essere interrogate, sentono la Cormaci dire di aver messo il cuscino sul volto di Vaj «continuando a premere», perché lasciasse la presa ai polsi della Armellin e quest’ultima replica «anch’io cercavo di tenerlo fermo».
Inoltre, i giudici sottolineano che mentre sul corpo di Vaj venivano riscontrate ferite profonde, causate dal ferma-imposte e da unghiate, le due donne presentavano solo piccole lesioni, compatibili con un’auto-difesa della vittima. Inoltre a carico di Vaj mai c’era stata denuncia di lesioni da parte dell’Armellin e le testimonianze delle due mogli della vittima avevano sempre sottolineato la natura pacifica dell’uomo. Dagli stessi messaggi intercorsi tra Armellin e la vittima non ci sono mai stati cenni di episodi di aggressioni o violenze. Anzi, dai cellulari emerse un atteggiamento protettivo e affettuoso di Paolo Vaj nei confronti di Patrizia. Secondo i giudici, la volontà di uccidere delle due imputate la si evince dalla violenta compressione esercitata contemporaneamente sul volto di Vaj con il cuscino («tale da determinare aree emorragiche da compressione sul labbro inferiore e superiore») e sopra il torace con il peso del corpo («così da causare fratture multiple e sfondamento toracico»). I legali delle due imputate di omicidio volontario premeditato, gli avvocati Marina Manfredi e Stefania Giribaldi, sono pronti ad appellarsi alla Corte d’Assise d’Appello di Venezia.