GORIZIA Per la radio e per il mondo dell’opera Enrico Stinchelli e Michele Suozzo rappresentano l’equivalente di ciò che, per la tv e per il tennis, sono stati Rino Tommasi e Gianni Clerici: la coppia perfetta. Da un po’ di anni, però, Stinchelli non si dedica soltanto a condurre La Barcaccia, che, da quando è nata, nell’88, ha superato le 6 mila puntate: ha infatti intensificato la sua attività di regista. Oggi, giovedì 7 e domenica 10 luglio, alle 20.30, ne darà prova per la Madama Butterfly che rientra nel cartellone del Piccolo Opera Festival. La si potrà applaudire al Castello di Spessa (Capriva), precisamente al Teatro di Verzura, che viene così inaugurato. Sul podio, a dirigere la Fvg Orchestra è atteso Hirofumi Yoshida, mentre per il ruolo della protagonista è stata invitata Ira Bertman e, quale Pinkerton, il tenore Oreste Cosimo.
Stinchelli, su cosa farà leva la sua regia?
«Al Teatro di Verzura non era mai stata fatta un’opera prima d’ora. Quando sono arrivato a Spessa, il direttore artistico del festival, Gabriele Ribis, mi ha immediatamente fatto notare questa collinetta e le sue potenzialità. Nell’opera di Puccini, la casetta di Butterfly sta proprio su una collinetta con dietro Nagasaki. Quindi, entrano prima Sharpless, poi Pinkerton e Cio Cio-san. Il tema della salita, insomma, c’è sempre e noi, allora, sfruttiamo questo ambiente naturale per quella che sarà una versione cinematografica, molto open air, dell’opera».
D’accordo, ma, al di là della sede ospitante, quali sono i tratti salienti della sua Butterfly?
«Dico sempre che il vero regista è l’autore e già la musica di Puccini evoca molte situazioni in maniera perfetta. Certo, bisogna saperla leggere, interpretare e rispettare. Ma una partitura parla e ci dice come inserire nel discorso musicale la drammaturgia, la caratterizzazione dei rapporti tra i vari personaggi. Per quanto mi riguarda, cerco di essere fedele allo spirito che anima questo capolavoro».
E la Butterfly che opera è?
«Un’opera fortemente drammatica e incredibilmente attuale. Del resto, si parla quotidianamente del tema del femminicidio e Puccini lo porta al massimo livello di esasperazione. In Butterfly abbiamo quindi una donna che si suicida per amore, per la delusione amorosa determinata da un cinico personaggio che viene, a sua volta, da un’America più cinica che mai. Pinkerton rappresenta davvero il lato deteriore dell’uomo e certi aspetti che fanno parte dell’uomo americano. Poi, naturalmente, occorreva ricreare il Giappone e Puccini, pure in questo caso, è riuscito con pennellate geniali e uno studio accurato a raggiungere l’obiettivo. In fondo, anche Verdi non era mai stato in Egitto, ma la sua Aida contiene uno spirito egiziano impressionante».
Da conduttore e da autore della Barcaccia, come valuta l’attenzione degli italiani per il mondo dell’opera?
«Purtroppo il Paese che ha dato i natali all’opera e ne ha visto i trionfi nell’800 e anche nel ‘900, fino agli anni ’60-’70, nell’ultimo quarantennio registra un notevole disinteresse in materia, dovuto quasi esclusivamente a due fattori: il primo è educativo, nel senso che le famiglie e le scuole non spronano i ragazzi a studiare; il secondo è la politica culturale che trascura la musica. Finché i nostri governanti non si renderanno conto che l’opera è un prodotto da esportare come fanno altri Stati ci porteremo dietro questa lacuna. Ma è anche grazie alla nostra cultura musicale se nel mondo abbiamo un certo nome».
Tra quelli che ha conosciuto, qual è il cantante più simpatico?
«Tra quelli di oggi, Roberto Alagna è solare e spiritoso e lo stesso si può dire di Jonas Kaufmann. Poi, però, citerei anche il marito di Anna Netrebko: Yusif Eyvazov. Ancora, ho sempre trovato intelligente e simpatico José Carreras e, andando più indietro nel tempo, il baritono Giuseppe Taddei era gradevolissimo, travolgente, fantastico».
E tra le donne?
«Con Montserrat Caballé ci si ammazzava dalle risate: era una giocherellona, non drammatizzava nulla. Ma anche Anna Netrebko mi ha colpito: a suo modo è divertente, molto buffa. Non si comporta da diva».
E, diciamo così, quelli dal carattere più marcato?
«Forse penso al carattere chiuso della grandissima Mariella Devia. Per eccesso di seriosità può allora risultare antipatica».
Pavarotti com’era?
«Sopraffatto dal suo personaggio e dal suo entourage. Doveva essere simpaticissimo agli inizi o in privato, ma credo che poi, in verità, fosse parecchio triste».
Cosa pensa della sua svolta pop?
«È stata una scelta che ha diviso il suo pubblico ma, alla lunga, il crossover (comunque già avviato da Caruso) si è rivelato vincente perché ha allargato la platea».
E il direttore più simpatico chi è?
«Paradossalmente dovrei nominare quello con cui abbiamo avuto più problemi: Riccardo Muti per me è una sagoma di simpatia; è un battutista con il tipico spirito dell’uomo del Sud, con un aspetto surreale alla Totò. Poi per sua scelta appare seriosissimo, ma in verità la sua è una maschera». —
