La più grande tragedia sulle Alpi nell'era moderna. Sei vittime accertate, un numero destinato a crescere. Probabilmente fino a 30, perché i dispersi sarebbero venti e le possibilità di ritrovare qualcuno in vita sono considerate effimere dai soccorritori. Che, a causa del rischio di nuovi crolli per l'instabilità del saracco e delle alte temperature, al momento non possono operare sul terreno. I precedenti dal 1916 in poi
L'articolo Marmolada, cosa si sa finora sul distacco: la cascata di ghiaccio e rocce a 300 km/orari e due giorni di temperature record in vetta proviene da Il Fatto Quotidiano.
La più grande tragedia sulle Alpi nell’era moderna. Sei vittime accertate, un numero destinato a crescere. Probabilmente fino a 30, perché i dispersi sarebbero venti e le possibilità di ritrovare qualcuno in vita sono considerate effimere dai soccorritori. Che, a causa del rischio di nuovi crolli per l’instabilità del saracco e delle alte temperature, al momento non possono operare sul terreno. Tanto che nella notte sono stati utilizzati solo i droni dotati di termocamera e toccherà ai meteorologi stabilire in mattinata se l’evoluzione del clima permetterà di tornare sulle rocce della Marmolada. Ecco tutto quello che si sa finora della strage causata dal distacco di un ampio fronte di ghiacciaio, quasi in vetta alla montagna.
Quanti sono i dispersi?
Il numero è via via cresciuto con il passare delle ore. In un primo momento si pensava fossero una decina. Poi attraverso il conteggio delle auto rimaste parcheggiate a Passo Fedaia, dove inizia la risalita verso la vetta della Marmolada, il Soccorso alpino ha parlato di 16 persone. Lunedì mattina un nuovo aggiornamento: “C’è il rischio che i dispersi siano 20”. All’appello mancano 4 alpinisti vicentini: una guida guida e 3 escursionisti appartenenti alla sezioni Cai di Malo. Tra di loro, Filippo Bari, 27enne che aveva pubblicato un selfie che lo riprendeva sul costone della Marmolada un quarto d’ora prima della distacco. All’appello mancano anche una donna e un ragazzo di Pergine Valsugana, in Trentino, così come alpinisti tedeschi, cechi e della Romania.
Quale parte del ghiacciaio si è staccata e come è venuta giù?
La massa di materiale staccatosi dal ghiacciaio della Marmolada è un saracco quasi sulla vetta della regina delle Dolomiti, nella zona di Punta Penia. Una calotta, ha spiegato il Soccorso Alpino, che era lì da “centinaia di anni”. Si tratta di un fronte di ghiaccio di 200 metri con un’altezza di 60 metri ed una profondità di 80 metri. È scesa lungo il versante trentino per almeno 500 metri, fino a quota 2.800, raggiungendo una velocità di 300 chilometri l’ora.
C’è il rischio di nuovi crolli?
Sì. “C’è il rischio concreto che un’altra massa di ghiaccio crolli”, ha spiegato Silvano Ploner del Soccorso alpino della val di Fassa. Per questo dal pomeriggio di domenica sono stati sospesi gli interventi sul terreno, la montagna è stata totalmente evacuata attraverso gli elicotteri, l’ingresso ai sentieri è presidiato dai carabinieri e si sta procedendo alla ricognizione solo attraverso i droni dotati di termocamera, ma al momento le ricerche hanno dato esito negativo.
Quali sono le cause del distacco?
Su questo la procura di Trento ha aperto un’inchiesta per disastro colposo, al momento a carico di ignoti. Dovrà comprendere se si è trattato solo del naturale distacco di un pezzo di ghiacciaio o se il disastro poteva essere previsto o evitato. Di certo, le colonnine meteo dell’Arpav presenti in quota aveva registrato temperature record nelle ore precedenti al collasso del saracco: sabato si erano toccati i 9 gradi, durante la notte la minima era stata di 5 gradi e già alle 11 di domenica mattina la rilevazione aveva superato i 10°. Il distacco è avvenuto poco dopo le 13.30, quando quel versante della Marmolada è colpito in pieno dai raggi del sole.
Ci sono precedenti simili sulla Marmolada?
Sì. La notte del 13 dicembre 1916 un’enorme massa di neve si staccò dai costoni settentrionali della montagna e travolse il villaggio della riserva al Gran Poz, uccidendo circa trecento soldati austriaci che dormivano nelle baracche in legno costruite per la Grande Guerra. Per colpa del segreto militare e per la confusione del conflitto restò per sempre ignoto il numero esatto delle vittime. Più di recente, nel 2020, sempre a dicembre, ma in una zona non lontana da quella dove si è verificato il distaccamento di domenica, un fronte molto ampio di neve coprì e distrusse il rifugio Pian dei Fiacconi, a quota 2.626 metri. In quel periodo era ancora chiuso, la stagione invernale non era ancora stata avviata e solo per quello si evitarono vittime. La statale del passo Fedaia, che arriva ai piedi della montagna e dove c’è l’omonimo lago artificiale, spesso d’inverno viene chiusa per distaccamenti di rocce o slavine. L’8 dicembre 2011 tre bresciani furono coinvolti da una slavina partita sotto i loro piedi, in due finirono in ospedale con fratture ma se la cavarono. Anche nel 2014 altre quattro persone furono soccorse e salvate, dopo che erano finite sotto la neve: questa volta era l’1 maggio. Sempre per il ponte della Festa del Lavoro, nel 2009, due escursionisti veneti invece, trovarono la morte. Furono soccorsi e estratti, ma spirarono una volta portati in ospedale, uno il 2 e l’altro il 7 maggio.
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