Nella prima estate senza mascherine tutto è di nuovo alla luce del sole: compresi quei ritocchini e «aggiustamenti» estetici che, approfittando del lavoro da remoto e lontani da sguardi indiscreti, in tanti si sono finalmente concessi. Nel 2020, piena era Covid, in Italia sono state effettuate 830.868 procedure estetiche. Secondo Aicpe, l’Associazione italiana chirurgia plastica estetica, la pandemia ha determinato solo una lievissima flessione del settore, dovuta ai tre mesi del lockdown: nel 2019 gli interventi estetici erano stati 1.088.704. L’Italia si ritrova così al quinto posto nella classifica mondiale per numero di operazioni, con un mercato che supera gli 11 miliardi di euro di valore: tra le richieste più frequenti, la blefaroplastica e la mastoplastica additiva.
A spingerci verso il «taglia e cuci» dovuto a vanità, anche le tante videocall con i colleghi. «È stato come fissarci sempre allo specchio» dice Mario Dini, ex primario del reparto di Chirurgia plastica e ricostruttiva dell’Azienda ospedaliera universitaria fiorentina di Careggi. «E questo confronto con la nostra faccia ha creato insicurezze e disagi». Peccato che, oltre alle «migliorie», si siano moltiplicati anche errori e orrori di tanti interventi malriusciti a opera di sedicenti e presunti professionisti, chirurghi spregiudicati che magari offrono tariffe low cost (con sconti fino al 70 per cento), o per mano di estetiste allo sbaraglio.
Risultati: labbra a canotto, zigomi gonfiati, cicatrici evidenti, volti innaturali, infezioni, complicanze post-operazione. Non è un caso che negli ultimi 10 anni ci sia stato un aumento del 30 per cento dei procedimenti civili e penali a carico dei chirurghi plastici ed estetici; mentre gli interventi riparatori sono cresciuti del 40 per cento. Uno degli ultimi episodi, in questo caso agghiacciante, è quello della giovane madre di 35 anni, Samantha Migliore, morta lo scorso aprile per un intervento al seno, eseguito a domicilio da un’estetista brasiliana. Un caso estremo, ma che illustra bene il fenomeno delle cliniche-garage clandestine, alimentato sovente dal passaparola nelle palestre (tante si rivolgono anche alle cliniche estere, dove tutto è permesso).
La Sicpre, Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, ha poco più di mille soci: «Ma sappiamo che in Italia operano almeno 6 mila chirurghi non specializzati» afferma Carlo Magliocca, chirurgo plastico dell’Ospedale Fatebenefratelli a Roma e membro del consiglio direttivo della Società Italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica. «In Italia ogni medico chirurgo, anche dentista, può fare tutto in sala operatoria, a eccezione dell’anestesista e del neurochirurgo. Ma chiunque attraverserebbe l’Atlantico più volentieri con un pilota che ha 10 mila ore di volo intercontinentali anziché 5 mila». Aggiunge Giorgio De Santis, ordinario di Chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica all’Università di Modena: «La gente non si informa, si fa ammalliare dagli attestati di qualche master ottenuto all’estero e sfoggiato in studio».
Se è vero che in Italia gli interventi di chirurgia estetica sono concessi solo a maggiorenni, tante ragazzine riescono comunque a ottenere la prima «punturina» di filler alle labbra. Con esiti spesso grotteschi. «Tutto ciò che viene introdotto all’interno del corpo e dei tessuti può causare reazioni» mette in guardia Dini. «Per questo motivo anche gli “iniettabili” devono essere somministrati da un medico specializzato in chirurgia plastica, estetica e ricostruttiva. Nessun estetista o centro estetico ha titolo per farlo». Purtroppo nel nostro Paese non sempre è così. «In genere chi si rivolge a centri estetici è attratto dal prezzo, ma percorre una scorciatoia senza tutele» afferma Magliocca. «La chirurgia non è a buon mercato, se lo diventa qualcosa certamente non va». I rischi sono alti: «Ambienti non sterili causano infezioni pericolose» continua l’esperto. «Anche una crisi vagale (una sindrome causata dal nervo vago, ndr) in contesti privi di attrezzature e farmaci necessari può essere fatale».
Il web poi complica e confonde le acque: pseudo professionisti utilizzano sui social immagini accalappia-clienti di pre o post intervento senza alcuna forma di vigilanza e verifica delle informazioni: «Chiunque può autopromuoversi e dispensare false promesse, attribuendosi qualifiche e meriti» dice ancora De Santis. Ci sono poi i chirurghi, o sedicenti tali, che accontentano ogni richiesta, per esempio impiantando protesi al seno sproporzionate: «Infilare 200 grammi o 500 nello stesso involucro di pelle» spiega De Santis «è come avere il 38 di piede e scegliere un 35 di scarpa. Non ci sta». E chi pensa di pagare le protesi una volta e per sempre sbaglia: «Durano 10 o 12 anni» sottolinea Magliocca «e come tutti i “device” hanno bisogno di costante controllo. Chi si opera a 20 anni deve considerare almeno tre altri interventi con i relativi costi».
Molti insuccessi costringono i pazienti a seconde, terze e quarte operazioni. I dati dicono che la delusione accompagna fino al 36 per cento le pazienti nella mastoplastica additiva, il 20 per cento nella rinoplastica e il 30 per cento nella blefaroplastica. Ma mettere mano su interventi precedenti è sempre complesso e rischioso. Tra i pentimenti, uno dei più frequenti e diffusi è quello successivo alle iniezioni effettuate con silicone liquido, ora vietato per legge per i suoi tanti effetti indesiderati e permanenti. Ma, ancora oggi, c’è chi inietta sostanze affini altrettanto nocive, ma che alle clienti piacciono perché sono più durature dei filler organici che si riassorbono. «Al chirurgo ciarlatano costano meno e la paziente resta soddisfatta per un paio d’anni. Poi però iniziano le complicazioni» spiega De Santis. «Le reazione infiammatorie provocate costringono spesso a ricoveri ospedalieri per infezioni, traslocazioni, ulcerazioni. E gravano sul Servizio sanitario nazionale».
Recentemente la Sicpre e altre società hanno presentato al ministero della Salute un documento per richiedere la rimozione dal commercio di un acido ialuronico «permanente», che potrebbe dare in futuro problemi analoghi: il Los Deline, a marchio CE, utilizzato per sollevare glutei e seno e proposto sul sito ufficiale come un «miracoloso gel idrofilo» che dura cinque anni. Sui forum femminili, tante aspiranti clienti chiedono consigli e informazioni. Le risposte degli esperti? Eloquenti: «Mi guarderei bene dal farmi impiantare un materiale di questo tipo. Se l’organismo impiega cinque anni a far riassorbire il prodotto, da quali additivi è addizionato? Perchè l’azienda non offre chiarimenti?». «Da nessuna parte c’è scritto cosa realmente sia... acrilico? Silicone?». Fino a un lapidario: «I prodotti a più lunga durata sono quelli che più creano complicazioni, serie e gravi».