«I friulani sono stati sempre intersezione di mondi»
UDINE. Una cavalcata nella storia delle piazze viste quali luoghi di incontro e confronto. Dall’agorà greca e ancora prima dei Caldei, passando per i luoghi segnati dalla Storia, intersecando le “place, biele place”, cantate nelle filastrocche per i bambini, con quelle friulane i cui i notari davano corpo e annotavano le prime forme di letteratura.
Piazze del secolo breve, di Udine “Capitale della guerra”, con le partigiane fiere che entrano in Primo Maggio, e infine le piazze della politica e della cronaca più nera della storia italiana, da piazza Fontana, a della Loggia, alla Budapest nel’56, fino a Sarajevo e alla martoriata Mariupol.
Sacro e profano, raccontati dallo scrittore e umanista Angelo Floramo, protagonista ieri sera, dell’incontro “Le agorà nella storia”, alla Notte dei lettori, festival udinese declinato nel titolo: “Dall’agorà alla Transalpina sotto il cielo di piazza Libertà”.
Una manifestazione culturale di tre giorni di appuntamenti per sessantacinque eventi, venti agorà, otto librerie attorno alla Biblioteca Joppi, cinque mostre, sei passeggiate a tema, cento protagonisti, che ha accolto con convinzione l’invito rivolto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, per creare un percorso di avvicinamento tra le varie iniziative e realtà così da arrivare come approdo al progetto riguardante Gorizia e Nova Gorica, Capitale europea della cultura nel 2025.
Siamo davvero sicuri che le piazze, quelle dell’incontro con l’altro e gli altri esistano ancora? Perché nelle nostre città la sensazione è che siano diventate luogo di passaggio o di parcheggio.
«Le piazze devono tornare a essere luogo dove dare senso al vivere comune e dobbiamo chiederci chi le ha svuotate e perché. Rintanarci dietro le siepi dei nostri giardini ordinati, indifferenti al mondo non va bene. Siamo noi i primi ad averle disertate. Togliere le panchine dalle città perché nessuno possa trovare sollievo in nome di uno strano senso del decoro, è stato il primo grande delitto. Il primo grande decoro urbano è l’uomo».
Come si torna indietro?
«Riappropriandoci degli spazi. Forse anche la virtualità è un modo comodo, per allontanarci dalla piazza vera. Il virtuale non è sporco, non è compromettente, ha parole disincarnate. Dobbiamo ritrovare la parola che si incarna, la dialettica».
Un festival può aiutarci a riappropriarci delle piazze perdute?
«Spero sia uno stimolo a ritrovarsi. Non solo occasione per gli ospiti di raccontare i propri libri ma per la città tutta di aprirsi agli altri per vivere la città-mondo. La piazza è aperta, è incrocio di genti, lingue. Il Maghreb è già qui».
Guardando Piazza Libertà a Udine cosa le viene in mente?
«È un salotto bellissimo. Perfetta architettura. Nella mia utopia dovrebbe essere piena di bambini che corrono e lo trasformano in un luogo del possibile».
Forse basterebbe ri–cominciare dalle panchine di cui si parlava prima. Venerdì, La Notte dei Lettori si è collegata con la piazza Transalpina di Gorizia. Quale messaggio vorrebbe che partisse da Udine verso Gorizia e da Gorizia verso Udine?
«Vorrei che tornasse a essere forte il senso della frontiera. Siamo ciglio, nel senso di occhio, sguardo sul mondo e sul ciglio di una strada, molte strade. Vorrei che ci fosse un incrocio, una visione nuova disincarnata dal mito della purezza. Le genti friulane sono state sempre intersezione di mondi. Deve chiudersi l’era dei confini e aprirsi quella della frontiera».