Tanti lavorano più ore di quelle contrattualizzate. Sciarra: «Il reddito di cittadinanza è un argine all’illegalità»
IVREA. A differenza di molti imprenditori, i sindacalisti canavesani non ritengono che la difficoltà nel reperire lavoratori nel settore del turismo e della ristorazione dipenda dalla scarsa voglia di lavorare o di accontentarsi di stipendi bassi. «La scarsa disponibilità di manodopera in questi settori, che si rispecchia a livello locale e nazionale, non crediamo vada fatta risalire al reddito di cittadinanza - spiega Francesco Sciarra, segretario della Uiltucs per il Canavese. - Dove ci sono il rispetto del contratto di lavoro, della sicurezza, della retribuzione e della dignità della persona il lavoro si accetta. Purtroppo in ambito turistico le problematiche di un’esperienza lavorativa emergono soltanto dopo la conclusione del rapporto di lavoro. Lo scorso anno le vertenze sul nostro territorio sono arrivate ad essere quasi 500 nel settore terziario, tra commercio e turismo. Quello turistico, nello specifico, è il settore economico a più alta vertenzialità».
Le situazioni sono molte e differenti: da chi avrebbe un contratto di 40 ore e ne lavora 70 a chi accetta di fare il cuoco con un contratto da lavapiatti, percependo uno stipendio inferiore di circa 600 euro: «Quando si ha a che fare con figure difficilmente sostituibili si arriva ad estremi che hanno poco di legale - continua Sciarra. - Il picco di lavoro per l’ufficio vertenze di un sindacato arriva dopo l’estate e le situazioni si risolvono in due modi, con un riconoscimento economico o con una causa in tribunale. Spesso, però, il lavoratore neanche ci prova ad avviare una vertenza: la paura è che il proprio nome resti macchiato e non si riesca più a trovare un impiego».
Il reddito di cittadinanza, secondo Sciarra, non è una causa della difficoltà degli imprenditori nel trovare manodopera: «Semmai è un argine a situazioni problematiche: prima del reddito, pur di lavorare, si accettava qualsiasi condizione. Ora si può scegliere di accettare un lavoro o non farlo, cercando un impiego che rispetti i diritti dei lavoratori. Questo non significa, però, truffare lo Stato percependo il sussidio e lavorando in nero: si tratta di una misura da mantenere e migliorare».
Michele Racanelli, delegato della Filcams per il Canavese, fornisce anche un altro punto di vista: «I lavoratori del turismo sono quelli che durante la pandemia sono stati più colpiti e hanno avuto meno tutele rispetto alle altre categorie - commenta il sindacalista. - Nel turismo e nella ristorazione chi è stato fortunato ha ricevuto la cassa integrazione o bonus occasionali, mentre altri, dopo aver perso il lavoro, hanno scelto di cambiare occupazione. Inoltre, chi aveva perso il lavoro a causa della pandemia spesso non era nemmeno nelle condizioni di poter chiedere il reddito di cittadinanza».
Secondo Racanelli è la cultura del lavoro a dover cambiare in Italia: «In ambito turistico ci sono quasi 50 tipi differenti di forme di assunzione. Bisogna smettere di pensare alle lobby e trovare soluzioni adeguate, come può essere l’annullamento del precariato, già testato in Spagna. Inoltre, servirebbero più ispettori che vigilino sul rispetto dei contratti e delle condizioni di lavoro. Sulla sola provincia di Torino ne occorrono un centinaio e al momento sono circa venti. In questi periodi di crisi a crescere è soprattutto il lavoro nero: ne è una dimostrazione, nel caso del nostro sindacato, l’azzeramento quasi totale delle vertenze presentate in Canavese. Quando diminuiscono le vertenze, aumentano i lavoratori irregolari. E tra questi molti sono giovani: le frasi che sentiamo dire più spesso sono “Non credo nel governo, metto da parte due soldi e me ne vado dall’Italia”».V.C.
