Parla Rinaldo Reboa, il legale della difesa dell'uomo accusato: «Nella sua camera i documenti della trans uccisa»
CARRARA. Il volto dell’avvocato Reboa, fuori dal carcere de La Spezia, è quello di uno che nella vita professionale ne ha viste davvero tante. E che si trova di fronte a un caso complesso e delicatissimo e a un cliente, un ragazzo di 32 anni, che si è chiuso nel silenzio. Che ha deciso, per il momento almeno, di non dare la sua versione dei fatti: quelli ricostruiti, ora per ora, fotogramma (delle videocamere di sorveglianza) nell’ordinanza che ha confermato la custodia cautelare in carcere.
E stato proprio Reboa a parlare del ritrovamento della pochette nera, con all’interno i documenti della trans Camilla (all’anagrafe Carlo Bertolotti) , durante la seconda perquisizione in casa della famiglia Bedini, nella camera di Davide Bedini, sotto accusa per l’omicidio e l’occultamento del cadavere della prostituta Nevila Pjetri e indagato per l’uccisione, la notte fra domenica e lunedì, della trans 43enne di Aulla.
Un quadro che si complica per il 32enne carrarese che, come ha riferito l’avvocato che lo difende, Rinaldo Reboa, continua a dire che «con tutto questo non c’entra niente».
«Io gli ho detto cerca di parlare, di dire quello che è – ha ripetuto anche ieri il legale della difesa – ma lui resta arroccato nella sua posizione, nel suo silenzio. Lui mi dice solo: “avvocato, io non c’entro niente”».
Ma intanto proprio nella giornata di questo venerdì, durante la seconda perquisizione – stando a quanto sostenuto dalla difesa – della camera di Daniele Bedini, è emerso un particolare importante.
È stata ritrovata quella borsa piccola, da sera, con all’interno tutti i documenti della trans uccisa: quella carta d’identità dove Camilla si chiama Carlo Bertolotti.
Un pezzo del puzzle importante nella ricostruzione del quadro indiziario che, subito dopo il secondo delitto, grazie al grande lavoro investigativo dei carabinieri, aveva collegato proprio Daniele Bedini anche all’uccisione della trans 43enne di Aulla.
Anche in questo caso erano stati i particolari, i dettagli: il fanalino del pickup rotto, il mozzicone di una sigaretta, della stessa marca di quelle fumate da Bedini, nel luogo del secondo delitto.
Adesso c’è la borsa, ci sono i documenti, che sono stati ritrovati nella camera, nella casa da cui – secondo quanto ricostruito nell’ordinanza che conferma la misura cautelare del carcere – Daniele Bedini ha cercato di scappare quando, alle 7 e mezzo di martedì 7 giugno (entrambi i delitti erano già stati compiuti) sono arrivati i carabinieri a prenderlo. Bedini era stato bloccato, per lui era scattato quindi il provvedimento di fermo.
