«Non riusciamo a consegnare la merce, non troviamo autisti» si lamenta sconsolata Paola Carniglia. Co-titolare dell’azienda di spedizioni Otim di Milano, la manager deve far arrivare a un cliente cinese macchinari prodotti da un’impresa lombarda. Ma sono bloccati in Cina perché i conducenti di camion non possono circolare liberamente, impigliati nella rete di norme e di divieti creata dal gigantesco lockdown deciso da Pechino. «La situazione nel porto di Shanghai è ancora drammatica» aggiunge Carniglia, la cui società opera da anni con Pechino trasportando merci via mare. «Aziende italiane nostre clienti non riescono a produrre perché mancano i pezzi realizzati in Cina e non hanno la possibilità di cambiare fornitore. Il lockdown di Shanghai e di altre città sta creando un effetto domino che allunga i tempi di spedizione in tutto il mondo: penso che ci vorranno mesi per tornare alla normalità».
Messa in ombra dalla guerra in Ucraina, la crisi del sistema produttivo e dei traporti cinese provocato dalla dura politica zero-Covid voluta dal presidente Xi Jinping è un’emergenza gravissima che sta creando all’economia mondiale danni superiori a quelli causati dall’epidemia del 2020. E nonostante le assicurazioni del regime sulla completa riapertura delle attività in giugno e gli sforzi per far circolare le merci, l’onda lunga del lockdown si diffonde come uno tsunami per l’intero pianeta. La Cina rappresenta all’incirca il 12 per cento del commercio globale, Shanghai è il più importante porto del mondo e gestisce il 20 per cento del commercio internazionale cinese. Il lockdown scattato il 28 marzo ha rallentato fortemente la movimentazione dei container: l’agenzia Bloomberg ha calcolato un picco di 477 navi portacontainer ferme fuori dalle banchine di Shanghai e degli altri porti cinesi nelle scorse settimane, situazione migliorata quando le compagnie di navigazione hanno iniziato a dirottare le proprie navi verso altri scali. Come ricorda il quotidiano online Shipping Italy, «Durante il lockdown del 2021 la “coda” di navi dentro e fuori il porto di Shanghai non era mai salita oltre quota 200 e per questo si temono conseguenze ben più forti sul commercio mondiale rispetto a quelle viste nel recente passato se le autorità cinesi non allenteranno le restrizioni imposte dalla politica del Covid zero».
A Shanghai il 12 maggio il tempo medio di attesa per i container di importazione era 12,9 giorni, con un aumento del 174 per cento rispetto al 28 marzo, secondo Project 44 che monitora le spedizioni. Nel resto della Cina, il tempo di attesa per i container per l’esportazione è aumentato del 22 per cento all’inizio di maggio rispetto a metà marzo secondo FourKites, un altro tracker delle spedizioni.
Questi rallentamenti hanno effetti a catena: le navi arrivano in ritardo nei porti di Rotterdam o Los Angeles, non ancora usciti del tutto dalle interruzioni del 2020-21, e aspettano in rada in attesa che venga smaltita l’ondata di container. Si calcola che un quinto della flotta container globale sia oggi all’àncora davanti a qualche porto. «Due anni fa solo il 20 per cento circa delle navi subiva ritardi» dice Hans Nagtegaal, direttore dei container del porto di Rotterdam. «Oggi siamo all’80 per cento». «Le navi dirette in Italia» aggiunge Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto, associazione che rappresenta 300 spedizionieri marittimi, «hanno accumulato un mese, un mese e mezzo di ritardo e penso che ci trascineremo questi rallentamenti per tutto l’anno».
Come può testimoniare Carniglia, il problema logistico va oltre i porti e gli aeroporti e si allunga nell’entroterra cinese. Non solo le fabbriche hanno chiuso, ma il sistema frammentario di norme che regolano gli spostamenti tra città e città ha reso quasi impossibile la raccolta e la consegna delle merci. È molto difficile per i camion entrare nelle città e uscirne senza il giusto permesso e ai conducenti può essere richiesto di sostenere test Covid in una provincia che non sono validi nel luogo di destinazione, per cui sono necessari altri test. Se poi il guidatore risulta positivo rischia uno duro lockdown e di fronte a questa prospettiva preferisce non lavorare. L’assenza di autisti ha creato congestione anche nei porti: senza autisti che raccolgano i container, le merci rimangono nei terminal molto più a lungo del normale.
Le ripercussioni si sono estese a tutto il mondo, con multinazionali come Apple, General Electric, Amazon, Adidas ed Estée Lauder obbligate a interrompere la produzione. Tesla ha dovuto rallentare le catene di montaggio della Gigafactory 3 di Shanghai: l’impianto che realizza la Model 3 e il Model Y per il mercato cinese e per l’esportazione ha ridotto l’output a 200 veicoli al giorno contro i 1.200 assemblati quotidianamente. Susanne Waidzunas, responsabile delle operazioni della catena di approvvigionamento globale per Ikea, ha dichiarato al Financial Times che ora occorre «il 50 per cento di tempo in più per inviare le merci dai fornitori in Cina alle nostre unità logistiche negli Stati Uniti e in Europa».
L’onda d’urto si fa sentire con tutta la sua durezza anche in Italia. Per esempio nel Friuli Venezia Giulia 26 tra grandi e medie aziende metalmeccaniche sono in difficoltà con ben 3.758 lavoratori che stanno utilizzando gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione ma anche ferie forzate) su un totale di 7.137 addetti: lo rivela uno studio condotto dalla segreteria della Cisl dopo settimane di monitoraggio del sistema economico della regione. «Nei prossimi mesi» ha spiegato il sindacalista Cristiano Pizzo «sconteremo in maniera molto pesante le conseguenze non solo della guerra in Ucraina, ma soprattutto della pandemia, che di fatto ha, e continua a condizionare, le forniture della componentistica e delle schede elettroniche indispensabili all’industria locale e ad alcune filiere strategiche come quelle dell’elettrodomestico e dell’automotive e dei terzisti collegati come, per esempio, le serigrafie».
La Savio di Pordenone ha dovuto fermare la produzione per la mancanza di materiali, schede elettroniche in primis, fondamentali per le macchine tessili. E la carenza dei componenti elettronici sta colpendo anche l’Electrolux di Porcia, costretta a rallentare la produzione. In tutta Italia le aziende stanno faticando ad avere componentistica ma anche settori meno «pesanti» come quello delle calzature stanno subendo ritardi enormi.