Esistono tornei che possono essere trasferiti da una città all’altra senza colpo ferire, campi e fuoricampi tutti uguali, neutri, che hanno abolito il folklore, le specialità locali, come se il tennis fosse tennis ovunque, e la location irrilevante. 

Tra pini marittimi, statue di marmo, lo stadio Olimpico poco più in là, i gabbiani e i campanili che si fanno sentire anche da lontano, Roma non corre questo rischio, gli Internazionali d'Italia rispecchiano la città in cui si trovano, persino il pavimento d’ingresso del Pietrangeli è fatto di sampietrini. «Qualunque cosa si possa pensare sull’architettura di epoca fascista, non esiste un posto che sia simile a questo», dice Christopher Clarey, giornalista del New York Times e autore di Roger Federer. Il Maestro, la biografia dell’ex numero uno al mondo pubblicata in Italia da Baldini & Castoldi. «Come Montecarlo e Wimbledon, il Foro Italico è un posto dove deve andare almeno una volta nella vita chiunque ami questo sport. Perché a parte il tennis, si possono imparare molte cose sull’Italia stando qui». A Clarey il Foro ha sempre ricordato una tipica piazza italiana, affollata e rumorosa. Quest'anno più che mai, visto che si è raggiunto il nuovo record di pubblico, 224.417 di spettatori paganti, circa seimila persone in più rispetto al 2019, edizione del precedente record.

Lei segue lo sport da oltre trent’anni, si ricorda la prima volta che è stato a Roma per lavoro?

«Era il 1994. Un’edizione importante per gli Stati Uniti, Pete Sampras vinse il singolare maschile, il suo primo e unico titolo sulla terra rossa e accese l’illusione di poter conquistare anche il Roland Garros». 

Sono passati 28 anni da allora, quanto è cambiato il Foro?

«Come tutto nel mondo, è cambiato anche questo torneo. La trasformazione più evidente è il Campo Centrale. Dal 2010 è stato completamente ristrutturato, ora è più grande e più capiente. Personalmente, lo preferivo prima: il campo era più vicino, i giocatori si vedevano meglio». 

Qual è il suo ricordo più bello degli Internazionali d'Italia?

«Un’intervista che ho fatto a Venus e Serena Williams, nel 1997. Mi sembra di ricordare ancora il nome del ristorante, Cavalieri. Le due sorelle erano giovanissime, diciassette e sedici anni, portavano l’apparecchio e le treccine colorate. Ricordo che Venus parlava tantissimo, mi avevano persino regalato una specie di diario che avevano scritto sul tennis». 

Secondo lei le rivedremo ancora in campo?

«È molto difficile rispondere. A volte mi sembra che Venus in realtà si sia già ritirata anche se non ufficialmente. Con le due sorelle è però impossibile formulare giudizi, qualunque cosa possiamo immaginare riguardo il loro ritiro, loro penseranno a qualcosa di diverso. L’unica cosa che penso è che quando succederà, si ritireranno insieme». 

In questi giorni agli Internazionali si sono visti molti striscioni riguardanti Roger Federer. Nella semifinale tra Zverev e Tsitsipas il nome Roger è stato urlato molte volte. È normale questa nostalgia nei confronti di un campione? Accadeva anche in passato?

«La nostalgia è sempre esistita e io personalmente sono un tipo nostalgico. Ma credo che Federer sia un’altra cosa, al pubblico manca davvero perché si è sempre sentito in sintonia con lui. Federer è un giocatore empatico, le persone sentono in qualche modo una connessione con lui, direi empatia. Per questo manca così tanto». 

E come sopravviveremo?

«La cosa positiva è che sono sicuro che il tennis andrà avanti, continuerà anche quando Federer smetterà di giocare. Mi convinco sempre di più guardando Carlos Alcaraz giocare. Lo spagnolo ha solo diciannove anni e un gioco spettacolare. Anche per i prossimi anni il tennis sarà in buone mani. Forse adesso sembra strano, i nostri vecchi amici sono sempre diversi dai nostri nuovi amici. Ma bisogna dargli fiducia».

Che cosa pensa del movimento italiano?

È uno dei motivi per cui lo scorso novembre ho deciso di venire a Torino a vedere le Atp Finals. Volevo capire che cosa stava succedendo. In Italia c’è il giovane gruppo più forte del mondo: Berrettini, Sinner, Musetti, Sonego. Sinner in particolare mi sembra che abbia il giusto approccio ai match, ha un gioco pulito e sarà interessante vedere nei prossimi anni le sfide tra lui e Alcaraz».

Dopo la vittoria di Madrid Carlos Alcaraz è il grande favorito per il Roland Garros?

«La scorsa settimana lo pensavo. Qui a Roma ho visto Djokovic migliorare il proprio livello partita dopo partita. Credo che sia ancora lui il favorito». 

Per quanto riguarda il tennis femminile agli Internazionali d’Italia abbiamo visto una finale tra Iga Swiatek e Ons Jabeur, la numero uno e la numero due della single race. Iga Swiatek, numero uno al mondo, vincendo il suo quinto titolo stagionale. Il tennis femminile ha finalmente trovato stabilità?

«Sì. Iga Swiatek per il suo approccio ai match mi ricorda molto Steffi Graff. A proposito di stabilità, Daniela Hantuchova che in questi giorni era agli Internazionali d’Italia per Amazon Prime Francia, mi ha raccontato che ai suoi tempi gli sponsor richiedevano continue vittorie, non bastava un successo, per essere visibile dovevi dimostrare qualcosa ogni settimana. Adesso sembra che non sia più così. Dopo un trofeo sembra essere molto facile perdere motivazioni». 

Naomi Osaka è stata la prima tennista a raccontare i suoi problemi di depressione, facendo emergere l’importanza del benessere mentale per le atlete ad altissimo livello. Lei pensa che rispetto al passato le giocatrici di oggi abbiano più pressione?

«Non credo. È molto importante parlare di benessere mentale, ma non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di tennis. Lo sport richiedere di sapere gestire e controllare le emozioni. È ciò che caratterizza i campioni. Non credo che Steffi Graff sentisse di meno la pressione?».

E allora cos’è cambiato?

«I social media hanno radicalmente cambiato la cultura. È come se ci sentissimo sempre giudicati dagli altri. Questo succede anche fuori dallo sport».