Il racconto dell’assistente capo Stefania Chinellato alla cerimonia. per l’anniversario dell’agguato brigatista ad Alfredo Albanese
MESTRE. Un lenzuolo macchiato di sangue e una frase: «È necessario stare dalla parte giusta». Sono flash di una giornata che segnano la vita ad una ragazzina poco più che adolescente degli Ottanta. Il sangue è quello del Commissario capo Alfredo Albanese appena ucciso dalla Brigate Rosse.
La frase è quella che l’allora Preside del Luzzatti pronuncia davanti ai ragazzi della scuola radunati nell’aula magna dell’istituto per comunicare loro cosa era successo a quattro passi dalla scuola. Lei è Stefania Chinellato Assistente capo della Polizia di Stato.
«Sono state quelle macchie di sangue e quella frase a convincermi di entrare in Polizia anche se in quel momento la polizia non era ancora stata smilitarizzata e mancavano cinque anni alla riforma che consentì alle donne di far parte della polizia equiparate agli uomini», racconta Stefania che ora presta servizio nella Divisione Anticrimine della Questura e si occupa di violenza di genere.
Giovedì 12 maggio a 42 anni dall’assassinio di Alfredo Albanese Stefania ha raccontato la sua storia di adolescente mestrina che viene segnata dai delitti e dagli attentati delle Brigate Rosse. Un segno, ricorda oggi, che le ha indicato da che parte stare. Lo ha fatto durante la cerimonia che ufficialmente ha ricordato, in via Rielta angolo via Comelico, sul luogo dell’omicidio, l’allora responsabile dell’ antiterrorismo della Digos veneziana.
Albanese al momento della morte era impegnato nelle indagini sull'omicidio di Sergio Gori, vice direttore del Petrolchimico ucciso il 19 gennaio del 1980 in viale Garibaldi, un'inchiesta che implicava il coinvolgimento di gruppi della sinistra militante, principalmente legati alle Brigate Rosse e ad Autonomia Operaia.
Racconta Stefania: «Quella mattina ero in ritardo perché ero andata dal dentista. Abitavo poco lontano da via Rielta dove c’era la mia scuola. Ricordo perfettamente diverse immagini di quella mattina. Appena arrivata nella via della scuola vidi le auto della polizia, degli agenti che impedivano alla gente fermarsi».
«Diversi di loro stavano piangendo. Non capivo esattamente cosa fosse successo ma guardando verso dove erano ferme le auto notai quel lenzuolo bianco macchiato di sangue. Non c’era nessun corpo, ma nella mente mi rimase impresso quel sangue. Corsi verso la scuola».
«Quando entrai trovai tutte le aule vuote. Il Preside infatti aveva convocato tutti nell’aula Magna per parlare ai ragazzi, per spiegare cosa era successo e per raccomandarci prudenza perché stavamo vivendo un momento molto brutto. E poi quella frase: È necessario stare dalla parte giusta. Una frase che ho fatto mia fin da quel momento perché mi aveva toccato in maniera profonda».
Quel giorno Albanese morì durante il trasporto all’ospedale. Un gruppo brigatista rivendicò l'azione, dapprima con una telefonata e in seguito con un volantino abbandonato in un cestino dei rifiuti. Le indagini sull'omicidio portarono rapidamente alla scoperta di due covi brigatisti, uno a Jesolo e uno a Udine. Vennero arrestate e condannate con pene pesanti diverse persone legate alle Brigate Rosse.
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«La storia vuole che qualche mese prima, andando sempre a scuola, da lontano, non ebbi il coraggio di avvicinarmi, vidi le auto, i poliziotti e la gente accorsa dove avevano ucciso Sergio Gori», ricorda la poliziotta.
«Ritornando al sangue e a quella frase nei giorni successivi con altre compagne di classe siamo andate in commissariato a Mestre per informarci come si faceva per entrare in Polizia. Ho dovuto aspettare ancora cinque anni e la riforma. Lavoravo già da un commercialista quando feci il concorso. Di quel gruppo di compagne di classe lo tentammo in due. Io venni arruolata, la mia amica no perché non era alta quanto imponeva la legge».
