Nel complicato equilibrio sul filo che separa la vita dalla morte, la salute dalla malattia, noi esseri umani apparentemente deboli e in balìa degli imprevisti, non siamo soli né indifesi. Al nostro fianco, nella lotta tra batteri e anticorpi, virus e linfociti, infezioni e globuli bianchi, guerre silenziose e complicatissime, lavora senza sosta il nostro «apparato» più complesso dopo il cervello: il sistema immunitario.
Questa meravigliosa macchina di difesa e di equilibrio è stata messa sotto scacco dal Covid-19. E oggi, come emerge dagli ultimi studi (e in percentuale maggiore nelle persone non vaccinate), dopo essere guariti dall’infezione da Sars-Cov-2, il sistema immunitario continua a funzionare troppo e per troppo tempo, restando a lungo «sollecitato», anche quando il virus non c’è più e provocando il «long Covid», definito come tale nell’ottobre 2021 dall’Oms.
Fenomeno che fa luce su quanto poco ancora conosciamo delle nostre difese immunitarie, di quando si attivano (e ci salvano la pelle) e di quando «impazziscono» e vanno in tilt. «Già durante la prima ondata di Covid-19 abbiamo visto che lo scatenarsi di quella che chiamiamo “tempesta citochinica” aggravava notevolmente la condizione dei malati di coronavirus» racconta Roberto Cauda, direttore Uoc Malattie infettive, Fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e componente dello Scientific advisory group dell’Ema. «Le citochine sono molecole proteiche che regolano la funzione delle cellule immunitarie: nel tentativo di eliminare il virus, a un certo punto il nostro apparato di difesa perde il controllo. La reazione abnorme, che va spenta al più presto con cortisonici e altri farmaci, potrebbe essere una delle cause per cui, dopo la guarigione, resta “accesa” una componente autoimmune, che può causare il long Covid».
È l’emergenza destinata probabilmente a diventare il problema più complesso che i sistemi sanitari nazionali di tutto il mondo dovranno fronteggiare nei prossimi anni. Secondo un recente studio dell’Università del Michigan, basato sui dati di 17 Paesi, sono più di 100 milioni le persone colpite dal long Covid (quasi il 40 per cento dei sopravvissuti); mentre un altro lavoro pubblicato su Nature, effettuato su veterani americani, segnala che nell’anno successivo alla malattia il rischio di ictus aumenta del 52 per cento e quello di scompenso cardiaco del 72. Una difesa viene dai vaccini anti-Covid. Un compendio aggiornato a gennaio 2022 dell’Uk Health security agency dimostra che due dosi di vaccino riducono fortemente - fin quasi ad azzerarle - le sequele invalidanti.
«Se il Covid era una malattia nuova, il long Covid è nuovissima» continua Cauda. «Molti malati ne soffrono, altri no. Per quale motivo? Uno dei principali indiziati è proprio il sistema immunitario. L’ipotesi è che ci siano dei “trigger” autoimmuni per cui l’apparato causa una lunga o lunghissima durata dell’infezione in determinati organi, come polmone, cuore e cervello». In questo scenario, il libro della giornalista scientifica Agnese Codignola Il lungo Covid descrive circa 200 sintomi riferiti da pazienti guariti (spesso giovani in età lavorativa) che per mesi non riescono a tornare alle loro normali attività perché colpiti da fatica cronica, tachicardia, difficoltà respiratorie, depressione, perdita di capacità cognitive, distorsioni olfattive.
Che tutta questa tempesta provenga proprio dalla nostra «macchina di difesa» non deve stupirci se è vero che - come sostiene Philip Dettmer, fondatore di Kurzgesagt, il canale YouTube scientifico più seguito al mondo, autore del saggio Immune, Viaggio nel misterioso sistema che ci tiene in vita (Rizzoli): «Il nostro sistema immunitario non è soltanto dentro di noi. Coincide con noi... Attiva complesse linee di difesa, comunica sulle lunge distanze, chiama i rinforzi e condanna a morte miliardi di nemici. Ha l’enorme responsabilità di mantenerci sani il più a lungo possibile». E la sua storia parte da lontano: «L’immunità cellulare è stata studiata, tra i primi, da Robert Koch a fine Ottocento, testando e valutando gli effetti dell’agente della tubercolosi sul sistema immunitario» spiega Cauda. «Da allora molti premi Nobel sono stati conferiti a quella che si configurava come una “nuova scienza”, il cui progresso è stato tumultuoso soprattutto nella seconda metà del Novecento e poi con l’arrivo dell’Aids, una sindrome da immunodeficienza acquisita. Aver posto al centro del dibattito scientifico il sistema immunitario ha permesso grandi passi in campo medico: basti pensare al fatto che riuscire a controllare la risposta immunitaria e il rigetto ha consentito lo sviluppo della trapiantologia».
Oggi, intorno ai vaccini anti-Covid e a una stimolazione delle nostre difese ravvicinata nel tempo c’è grande dibattito. Sono sostenibili i richiami ogni tot mesi? «Nel caso specifico, i richiami ravvicinati non sembrano avere effetto negativo sulla risposta immunitaria» afferma Maria Rescigno, ordinario di Patologia generale all’Humanitas University e Group leader dell’Unità di immunologia di Humanitas. «Non si notano controindicazioni. Anche con la quarta dose, dai dati finora in nostro possesso appare che il sistema immunitario non solo non si “deprime” ma si riattiva». Anche se sull’utilità della quarta dose «di massa» non c’è ancora tra gli scienziati un consenso generalizzato: «Negli Usa sono già partiti» continua Rescigno, «ma gli studi da Israele, pubblicati sul New England Journal of Medecine, mostrano che la quarta dose ri-stimola, è vero, la risposta immunitaria ma non protegge di più da Omicron. In un soggetto sano, che ha già risposto bene dopo la terza dose, la quarta non aggiunge molto».
Ma quando il nostro sistema naturale di difesa non ce la fa, o si lascia ingannare dal virus (che sia il Covid-19 o altri), è una buona idea «aiutarlo» con integratori, supplementi, vitamine o altro? «Il sistema immunitario è anch’esso soggetto a stimoli positivi e negativi» risponde Cauda. «Molte ricerche si sono concentrate su come utilizzare un farmaco piuttosto che un altro per stimolarlo, esiste qualche molecola che agisce sul timo, ma i risultati non sono particolarmente significativi. Per parlare di utilità di vitamine e integratori occorrono più complessi studi randomizzati, dati solidi che per ora non ci sono».
Nel suo affascinante saggio, Dettmer dedica un capitolo proprio all’idea di «rafforzare» dall’esterno linfociti, anticorpi, globuli bianchi e via dicendo. Idea sbagliata e «utilizzata solo da gente che cerca di farvi comprare roba inutile». Anche perché, almeno per ora, non esiste alcun modo scientificamente provato per potenziare direttamente il sistema immunitario con un prodotto facilmente reperibile. «E se ci fosse, sarebbe pericoloso usarlo senza supervisione medica». Il motivo? Il sistema di difesa che abbiamo in dotazione, spiega Dettmer, è come una complicata sinfonia che deve funzionare armoniosamente. Qualsiasi scostamento è controproducente. «E anche il semplice termine “sistema immunitario forte” è improprio. Quello che vogliamo è che sia equilibrato». Altrimenti, il rischio è il long Covid (per esempio) o l’innescarsi di malattie autoimmuni.
Calma, dunque; prendersi cura di sé stessi, conducendo uno stile di vita sano e tenendo il più possibile lontano lo stress, è al momento l’unico modo che abbiamo per aiutare questa nostra meravigliosa macchina di difesa, con tutto il suo corollario di strategie, attacchi, difese, vittorie, disfatte e sacrifici per proteggerci dal male.