SAN BENIGNO CANAVESE. Non c’è più la pericolosità sociale, ma Renato Vecchia, 46enne di San Benigno, resta in libertà vigilata all’interno di una comunità canavesana. È la conservazione di un equilibrio delicato che ha portato la Corte d’Assise guidata dal presidente del tribunale Vincenzo Bevilacqua, con Antonio Borretta giudice a latere, a prendere una decisione contraddittoria solo in apparenza, ma condivisa in realtà da tutte le parti in causa.
Si è aperto infatti martedì 10 maggio, il processo per l’omicidio di Ermanna Pedrini, che Vecchia, suo figlio, uccise il 15 ottobre 2020 con almeno 23 coltellate, secondo l’accusa formulata dal sostituto procuratore di Ivrea Alessandro Gallo. La discussione secondo l’accusa era degenerata per motivi economici, l’uomo infatti da qualche giorno era tornato a vivere a casa dell’anziana madre.
In aula, tuttavia, è emerso il contesto di estremo disagio che fa da sfondo alla tragedia. La dottoressa Patrizia De Rosa, incaricata dal tribunale di redigere una perizia sulla pericolosità sociale di Vecchia, ha risposto in maniera negativa alla domanda posta dal gup Rabagliati. «Ma è necessario - ha sottolineato -, il mantenimento dell’attuale progetto per il buon funzionamento della persona e per consolidare la situazione». Così il tribunale si è adeguato alle richieste del pm, sposate dall’avvocato di parte civile Marco Stabile che rappresenta i due figli minori dell’uomo e anche dalla difesa del 46enne, che si è affidato ai legali Silvia Di Nunno, Matteo Bodo e Basilio Foti. Nella comunità, infatti, ha sottolineato De Rosa, Vecchia prosegue la sua terapia e ha un sostegno psicologico che consiste in attività come l’apicoltura e la partecipazione a mostre, anche in esterna.
D’altronde la sua storia parla chiaro. L’omicidio della madre è avvenuto pochi giorni dopo che il 46enne è uscito da Villa Turina Amione, dove era ricoverato per curare la sua depressione. Una patologia che la dottoressa De Rosa ha inquadrato come una costante della personalità di Vecchia, presente al momento del fatto, tanto da farlo dichiarare seminfermo mentalmente, ma comunque imputabile. La patologia spiega anche, secondo le parole dalla dottoressa, l’uso di cocaina come antidepressivo da parte del 46enne, che è iniziato dopo i 40 anni. A far pendere la bilancia da parte della libertà vigilata in comunità, ci sono anche i due tentativi di suicidio che l’uomo ha messo in atto: uno prima di uccidere la madre, l’altro in carcere, nell’aprile di un anno fa, dopo il delitto.
Attualmente Vecchia in comunità, ha raccontato la psichiatra, ha recuperato il rapporto con alcuni colleghi di lavoro che sono andati a trovarlo in struttura. Tutto a testimonianza di un quadro stabile quanto fragile, che la detenzione in carcere oggi non potrebbe garantire. Il pm, la difesa e la parte civile hanno presentato le liste dei loro testimoni. Già martedì prossimo, 17 maggio, il processo entrerà nel vivo. —
