Brian Eno presenta il suo nuovo progetto, BRIAN ENO X TRENTINO, in conferenza stampa Zoom dalla sua casa in Inghilterra e la prima cosa che colpisce, in quest’epoca di opinioni strillate un po’ ovunque, è il garbo inusitato con cui lo fa.

Si tratta di due installazioni. Una, sonora, al Castello del Buonconsiglio (Trento, 19 agosto - 6 novembre), accompagnerà tutti i visitatori, sovrapponendosi al percorso del museo e dialogando con gli spazi e le opere. L’altra, multimediale audiovisiva, a Castel Beseno (Besenello, 19 agosto - 10 settembre) è un riadattamento della sua celebre opera 77 Million Paintings. Sulla superficie est delle mura verrà proiettata una combinazione di quadri che le persone potranno guardare dal prato del campo dei tornei.

Castel Beseno
Albert Ceolan

«Accade molto raramente, forse con le droghe, nel sesso o durante esperienze di misticismo religioso, ma l’arte è senza dubbio il luogo in cui ci arrendiamo»

L'artista come giardiniere

«Essendo inglese, ho sempre avuto un debole per i castelli», spiega Brian Eno, «Sono luoghi in cui mi muovo agevolmente, ma credo che in realtà gli artisti cerchino di creare spazi e mondi nuovi da far sperimentare alle persone. Le opere d’arte sono una sorta di simulatore: ti permettono di vivere delle situazioni senza esporti ad alcun pericolo. Nelle installazioni di questo tipo, quello che a me interessa è creare uno spazio in cui le persone possano lasciarsi andare completamente e mostrarsi del tutto aperte di fronte a qualcosa che non possono prevedere. Accade molto raramente, forse con le droghe, nel sesso o durante esperienze di misticismo religioso, ma l’arte è senza dubbio il luogo in cui ci arrendiamo».

In 77 Million Paintings - progetto il cui primo semino è stato piantato nel 2006 - un software combina in maniera del tutto casuale una serie di musiche e immagini create da Eno, dando vita a settantasette milioni di risultati diversi.
«Si evolve in modo molto naturale, senza che nemmeno io sappia come, quindi è un atto di abbandono anche da parte mia, io per primo mi arrendo. Si pensa spesso agli artisti come a degli architetti, che hanno una visione e la mettono in pratica. Io non lavoro così, lascio che il sistema si sviluppi autonomamente: non voglio sapere prima quello che accadrà. Questo naturalmente è correlato alla teoria del caos e alla cibernetica».

A tal proposito, Eno racconta di essere stato molto influenzato dal lavoro del professore e ricercatore Anthony Stafford Beer, di cui poi è diventato amico. «In un libro, Beer ha scritto una frase che mi porto dietro da sempre: “Quando sviluppi un sistema, non cercare di precisare ogni dettaglio. Fallo solo in parte e poi lascia che le dinamiche del sistema stesso ti portino nella direzione in cui desideri andare." Invece di pensarmi come architetto, preferisco considerarmi un giardiniere: pianto semi che crescono, ma non ho veramente il controllo del loro sviluppo, posso semplicemente monitorare la situazione in cui questa crescita avviene».

«Si pensa spesso agli artisti come a degli architetti, che hanno una visione e la mettono in pratica. Io non lavoro così, […] non voglio sapere prima quello che accadrà

Il valore dell'attenzione

Il messaggio che Brian Eno dice di voler trasmettere con questo progetto è dire a chi guarda di prendersi del tempo, di prestare attenzione, recuperando la lentezza. «Può non sembrare molto rivoluzionario, ma in quest’epoca in cui siamo sempre attaccati allo smartphone, penso che chiedere a qualcuno di rimanere mentalmente in un posto anche solo per mezz’ora sia un’idea abbastanza radicale. Di recente ho letto che l’adulto occidentale medio oggi vede tra 3 e 5mila avvisi pubblicitari al giorno. Le pubblicità sono un modo per catturare l’attenzione, ti dicono: “Smetti di pensare a quello a cui stai pensando e pensa a questo prodotto!”. Ormai è una lotta cercare di mantenere il controllo della propria attenzione. La nostra attenzione ha un enorme valore economico, tutti la vogliono. Quello che cerco di dire è, per una volta, orientiamola verso qualcosa che non sia un prodotto».

E il riscontro che Eno ha avuto da questo genere di installazioni ha dimostrato che in qualche modo è riuscito a raggiungere lo scopo. «Ho parlato con persone che hanno partecipato ai miei show e spesso mi hanno detto che si sono ritrovate a pensare a cose a cui non pensavano da molto tempo. Voglio ricordare alle persone che hanno un bagaglio di esperienze a cui possono attingere, ma spesso rimane schiacciato da altro. La risorsa più ricca a cui possiamo attingere, siamo noi stessi. Basta fermarsi a guardare».

 «Di recente ho visitato un posto in cui 15 anni fa avevo piantati 6000 alberi. Alcuni sono alti anche 15 metri adesso… se piantassi altri alberi, potrei riuscire a vedere un altro bosco prima di morire»

Come sta la musica oggi?

«Oggi c’è più musica interessante che mai, siamo di fronte a un equatore musicale, una fase senza precedenti in cui prolifera in migliaia di forme, ma non esiste più un canone. Negli anni ‘60, ‘70 uscivano molti meno dischi ed era estremamente facile sapere cosa succedeva, nonché capire cos’era davvero importante - i Beatles e Jimi Hendrix, per esempio - oggi non abbiamo più questa percezione. Abbiamo perso il controllo, ma c’è un aspetto positivo in questo: l’esplosione dell’era della nuova musica popolare in senso alto. La scena si è diversificata: da una parte abbiamo i grandissimi artisti, conosciuti da tutti, dall’altra riescono ad emergere anche tutta una serie di musicisti molto locali.

E come esempio del potere comunicativo globale della musica locale, Eno cita la dance hit sudafricana, postata in rete da un dj poco prima dell’era Covid, che in pochissimo tempo è diventata virale e ha fatto il giro del mondo, lanciando anche un ballo.

«Quando faccio musica, cerco un luogo per poter accedere al mio spirito, come in una sorta di meditazione e spero sia così anche per le persone che la ascoltano. Si tratta senza dubbio di musica sartoriale per la mia mente, ma mi auguro sia in grado di arrivare anche agli altri. Di nuovo è importante arrendersi, lasciarsi andare. La tecnologia ci ha resi molto bravi e operativi per quanto riguarda tutto ciò che è controllo, ma dobbiamo imparare di nuovo a fluire, a diventare parte delle cose». 
A tal proposito, seppur conservando il garbo di cui sopra, non risparmia una stoccata ai giganti del web: «Google e Amazon puntano tutto sul controllo, sono parte del capitalismo post libertario che ci spinge a usare il mondo per le nostre intenzioni, ma occorre anche lasciarsi usare dal mondo e dalle sue forze buone. La musica può aiutarci a ritrovarle».

Nel settembre del 1973 Brian Eno registrava il suo primo album solista (Here Come the Warm Jets). Sono passati quasi 50 anni, ma il bilancio, più che in dischi, oggi preferisce farlo in alberi: «Di recente ho visitato un posto in cui 15 anni ne avevo piantati 6000. Alcuni sono alti anche 15 metri adesso e ho pensato che se piantassi altri alberi, vorrei riuscire a vedere un altro bosco prima di morire».

«Quando faccio musica, cerco un luogo per poter accedere al mio spirito, come in una sorta di meditazione […] Si tratta senza dubbio di musica sartoriale per la mia mente, ma mi auguro sia in grado di arrivare anche agli altri»