La domanda – “Ragazza, che dici?”– apre Motomami, l’ultimo album della popstar spagnola Rosalía, uscito a marzo. È una domanda semplice ma anche carica di implicazioni. Dopo tutto, nessuno, men che meno lei, avrebbe potuto prevedere che un disco in lingua spagnola che ha ideato e prodotto indipendentemente nell’ambito del suo progetto di tesi per l’università, El Mal Querer del 2018, l’avrebbe catapultata al successo internazionale. Ma l’esclusivo mix di flamenco con suoni moderni proposto da Rosalía ha mandato in visibilio gli ascoltatori, contestualmente a quella che qualcuno ha definito la “seconda esplosione latina”, dopo il momento alla fine degli anni ’90 quando artisti come Ricky Martin, Marc Anthony e Enrique Iglesias fecero irruzione nel pop americano con successi in inglese. La differenza era che Rosalía, come i colleghi Bad Bunny, J Balvin e Luis Fonsi, cantava nella sua lingua madre, lo spagnolo, rifiutandosi di corteggiare il successo in base alle condizioni di un singolo mercato. Da lì, ha pubblicato una serie di singoli –alcuni con fiorettature di flamenco, altri no – con vari dei più grandi nomi della musica reggaeton e urban, accanto a personaggi del calibro di Travis Scott, The Weeknd e Billie Eilish. Strada facendo, Rosalía è diventata un fenomeno di lingua spagnola e anche una pioniera della musica fatta per i nightclub internazionali.
E quindi, nascoste dentro a quella semplice domanda ce ne sono altre più complicate: quando arrivi ai massimi livelli del pop – quando tutti sulla terra sono pronti a muoversi come gli dici tu – che cosa fai? Come superi l’opera d’arte che ti ha cambiato la vita per sempre? Torni a quello che ti ha portato fin lì? O ti spingi verso qualcosa di completamente nuovo? Rosalía, che dici?
«La domanda che poneva il progetto era: come faccio a fare una fotografia di questo momento?», dice Rosalía. Siamo agli Electric Lady Studios di New York, dove ha preso forma gran parte di Motomami, e stiamo chiacchierando in spagnolo; le porte che danno sulla terrazza sono aperte, lasciano entrare la luce del sole. La cantante continua, «Come faccio a fare un autoritratto? Come traduco la mia esperienza – qui e ora – in musica?».
Indossa un lungo abito Coperni scollato all’americana, con spacchi sui due fianchi, in una fantasia patchwork con iconografia degli anni ’90 – il simbolo dello yin e dello yang, il sole con i raggi ondulati, Beavis & Butt-Head – con stivali neri dalla grossa zeppa. Siamo seduti su un divano rosso, e quando suona ogni canzone chiude gli occhi – truccati con un ombretto verde brillante – e si perde nella musica. Segna il tempo con i piedi, le melodie con un dondolio della testa. Se non fosse una superstar, penserei che siamo due adolescenti che ascoltano dei dischi insieme.
«Dedico ancora la maggior parte del tempo alla musica», dice. «I fondamentali non sono cambiati. Quello che è cambiato è il mio contesto». Dopo El Mal Querer, le si è aperto il mondo. È entrata a far parte del circuito della moda internazionale – un giorno seduta in prima fila tra Virgil Abloh e Drake, un altro esibendosi a uno degli eventi Savage x Fenty di Rihanna. Nei suoi video musicali e nelle sue esibizioni dal vivo ha perfezionato un’estetica carica di alta moda e motociclette. (Era lei, brevemente, nel video WAP di Cardi B e Megan Thee Stallion che ha fatto impazzire internet). Ha fatto nuove amicizie. «Con Rosa senti che il suo corpo e il suo spirito sono in perfetto allineamento, e questo le offre un accesso diretto alla creazione a partire dalla sua verità», mi scrive in una e-mail l’amica Alexa Demie, star di Euphoria. «Avverte la forza del suo potere e sprofonda nella sua vulnerabilità, condividendole entrambe con noi con la massima naturalezza». Sono successe tante cose, dice Rosalía, spiegando: «La mia vita è cambiata. In tre anni ha fatto un giro di 360 gradi. Il modo che ho trovato per elaborare il tutto è fare musica che ne parlasse».
Ha trascorso gli ultimi due anni negli Stati Uniti, principalmente a Miami, New York e Los Angeles, lavorando al suo album. È stato il periodo più lungo che abbia mai passato lontana dalla sua famiglia e dalla Spagna. Alla fine, dice, il cambiamento di scenario ha aiutato. «In questi due anni qui negli Stati Uniti, è stato come cercare di riscoprire il centro», racconta. «Perché se sei al centro –nel tuo centro a livello creativo –, scrivi veramente partendo dall’onestà, produci partendo dall’onestà, arrangi partendo dall’onestà».
Il che ha significato esplorare generi musicali a cui non era stata necessariamente associata. Saoko, la prima canzone dell’album, è stata l’ultima che ha registrato per Motomami. Era qui in questo studio a improvvisare, e forse perché era profondamente immersa nel reggaeton, è venuto fuori un “Saoko, papi, saoko”, riferito al successo reggaeton del 2004 di Wisin e Daddy Yankee. Il resto di Saoko crea una filosofia. Non sarà una presenza musicale statica. (“Sono molto me, mi trasformo / Una farfalla, mi trasformo”). Non intende lasciare che le pressioni del successo interferiscano con i suoi istinti creativi. (“Frank ha detto di aprire il mondo come una noce”, canta, citando l’amico Frank Ocean. “Se muoio, che possa morire trafitta in bocca come muore un pesce”). Se niente di tutto questo vi fornisce indizi sul cambiamento della forma che è il fulcro del progetto, l’irruzione del piano jazz verso la fine del brano annuncia che l’artista intende lasciare che i suoi esperimenti musicali diventino strani quanto le pare.
«Devo moltissimo al flamenco; è stata la mia casa, e sarà sempre il fondamento della mia musica», dice. «Ma per me, non c’è musica migliore di un’altra, non c’è una musica che è bella e una brutta».
Tutto qui: «Ho pensato che fosse super guay (termine slang spagnolo per cool, ndr) aprire l’album con una canzone che definisce il mood e tutti i riferimenti per il progetto, specialmente il reggaeton di vecchia scuola che amo… Ho passato tutta l’adolescenza ad ascoltare reggaeton. Ricordo che ballavo con le mie cugine le canzoni di Don Omar, Lorna, Ivy Queen, tutti i classici... Allora perché non rendergli omaggio?».
C’è un bel po’ di reggaeton nel paesaggio sonoro di Motomami, insieme alla bachata, un pizzico di dembow, e persino una cover di Delirio de Grandeza, un bolero del 1968 del cantante cubano Justo Betancourt. È come se Rosalía avesse passeggiato nel giardino della sua musica preferita, raccogliendo fiori diversi e mescolandoli per creare nuovi ibridi. Il che spiega come i riferimenti a un mix eclettico di musicisti – il salsero Willie Colón; i rapper Lil’ Kim e M.I.A.; gli artisti di flamenco José Mercé, Niña Pastori e Manolo Caracol – compaiano in tutto l’album. Mentre parliamo, inizia a definire l’album una «radiografia» combinando le parole radio e biografia, poi si ferma perché sa che una radiografia non è questo – sono raggi X – ma in qualche modo è comunque lo stesso una parola composta che le sembra adatta. I riferimenti radicano ulteriormente il progetto nell’autobiografia: è la musica con cui è cresciuta.
Il primo ciclo di stampa di un artista può calcificare una vita, in particolare se la musicista è una ragazza con interessi che esulano dalle aspettative sociali. Molto rapidamente, la storia di Rosalía Vila Tobella è confluita nel mito di Rosalía. È nata a Sant Cugat del Vallès, una cittadina a nord di Barcellona. Quando aveva sette anni, cantava per la famiglia e li faceva piangere. A nove ha iniziato a imparare a suonare la chitarra, e a 13 si è innamorata del flamenco. Ha studiato al Catalonia College of Music in un programma che solitamente accetta uno studente all’anno. Ha suonato nei tablaos locali, come si chiamano i bar e ristoranti della Spagna dove i cantanti e ballerini di flamenco si esibiscono, a volte pagata soltanto con una cena gratis. Ha pubblicato un album di esordio, Los Ángeles, che era flamenco puro, solo una chitarra e la sua voce. Il successo è subito arrivato: El Mal Querer, acclamato dalla critica e basato su un romanzo del milleduecento, e un ruolo nel film del 2019 del regista spagnolo Pedro Almodóvar, Dolor y gloria. Tutto questo l’ha prospettata come un’Artista molto seria con intenzioni molto serie. Non era difficile immaginare che cosa sarebbe successo dopo.
Solo che Rosalía aveva altre idee. Le aveva sempre avute in realtà. Era cresciuta ascoltando di tutto. Bon Iver, ma anche Kate Bush. Aphex Twin, ma anche Janis Joplin. Ha imparato da autodidatta a scrivere canzoni in parte usando libri di testi di Bob Dylan e Patti Smith che sua madre le aveva regalato. Era una figlia degli anni ’90, cresciuta con internet: l’idea di scegliere un genere sembrava limitativo. «La sua musica, oltre a diventare sempre più grande e diffusa si sta anche collegando in modo più profondo e più spirituale con il pubblico in ogni parte del mondo», mi racconta l’amica e musicista Arca. Le due spesso si scambiano «vocali melodici», incoraggiandosi a vicenda nei loro sforzi creativi. «Vedo la sua stella brillare luminosa», dice Arca.
Con El Mal Querer, ha iniziato a incorporare i suoni del pop internazionale. Poi ha iniziato a lavorare con i più grandi artisti della terra. Inserendosi alla perfezione: Con Altura, la sua canzone dalle influenze reggaeton con J Balvin e El Guincho, ha raccolto quasi 2 miliardi di visualizzazioni su YouTube. L’esito più probabile – il riconoscimento del mondo indie – è stato superato e la cantante è stata promossa alla fama completa e internazionale.
Motomami continua questo processo. Cambiando marcia, modificando le forme: è sempre stata questa l’idea, anche se le persone sono state lente a rendersene conto. «El Mal Querer era uno stato d’animo; in effetti, uno stato d’animo molto serio», spiega Rosalía. «Uno stato d’animo è un momento, e i momenti non si ripetono. La cosa più onesta che potessi fare per questo progetto era aprirmi veramente».
Aprirsi, in questo caso, ha significato inventare un personaggio: il motomami. Il lavoro che aveva accumulato – «C’era un punto molto ardito, con molta energia, e un altro di fragilità e vulnerabilità»– faceva venire in mente una qualità specifica. Poi d’improvviso si è ricordata del primo indirizzo e-mail di una vecchia amica: motomami. Il nomignolo le era rimasto in testa ma adesso le faceva venire nuove idee. Sembrava duro ma dolce; femminile, ma non in modo troppo rigido. Le ricordava anche sua madre. «La mia mamma era sempre in sella a una Harley, vestita di pelle», racconta. E anche se è arrivata ad accorgersene più avanti nel processo, la motomami sembrava un’idea che, in qualche modo, predava il suo album, e forse la sua vita. È diventata una sorta di affermazione, mi spiega: «Sono una motomami perché la mia mamma era una motomami, e la mamma della mia mamma è una motomami perché anche la mamma della mamma della mia mamma era una motomami».
Una motomami ha un aspetto divertente: una canzone dell’album, Hentai, inserisce una lista di desideri sessuali all’interno del riferimento ai manga erotici, il che ha provocato una sorta di panico in un sottoinsieme di suoi fan. «Nei mesi scorsi quando ho condiviso 15 secondi di Hentai», racconta, «a molti è piaciuta e sono stata molto contenta e grata, ma alcuni si sono anche messi le mani nei capelli, e io ho continuato a pensare: “Ma Lil’ Kim ha scritto testi espliciti per tutta la vita!”». Ride. «Certo, è possibile che le persone si aspettino determinate cose – perché gli altri due miei progetti erano così seri –, ma questo per me lascia spazio allo humour, all’ironia, agli argomenti di ogni genere che fanno parte della mia vita».
La motomami esiste per questi momenti. «Quando una donna non fa quello che ci si aspetta da lei, le persone spesso sono spietate», afferma. Così ha imparato a essere spietata. «Alla fine, dico: Motomami e passo oltre».
Quella qualità le è stata di grande aiuto nell’affrontare le complicazioni della sua nuova vita. Prima di tutto, l’accusa che non dovesse fare flamenco, tradizionalmente una musica del popolo Rom marginalizzato in Spagna. (Una critica che è sembrata acquisire più peso dopo il successo mondiale di El Mal Querer più che il tradizionale Los Ángeles). Poi, dopo che El Mal Querer aveva ottenuto varie nomination per i Latin Grammy, sono stati sollevati interrogativi sulla sua inclusione, malgrado il fatto che sia normale che artisti spagnoli figurino nei riconoscimenti, che premiano la musica in spagnolo, e anche portoghese e altre lingue parlate in America latina e nella Penisola iberica. Le chiedo se pensasse a queste cose quando ha registrato Motomami, piena com’è di stili musicali dei Caraibi e dell’America Latina.
«Posso parlare soltanto dal punto di vista della mia verità, che non significa che sia quella giusta», mi dice. «Per me, fare musica è una manifestazione umana. È quello che mi fa alzare al mattino con entusiasmo, che mi fa continuare a sperare, il mio modo più sincero di comunicare».
Continua, parlando chiaramente di un argomento su cui ha riflettuto molto. «Uno dei motivi per cui volevo fare la musicista era perché avrei avuto modo di viaggiare e imparare nuove cose, conoscere gente nuova», racconta. «Tutte quelle cose influiscono su di me come persona, e voglio che influiscano anche sul mio sound…. Capisco e mi immedesimo con le persone che magari hanno sentimenti diversi, ma la verità è che, se smettessi di pensare che c’è un modo giusto o sbagliato per farsi ispirare, non riuscirei a fare musica. Ci sono molte cose, molte persone, che mi hanno influenzato, che mi hanno permesso di fare la mia musica. Se scelgo degli stili musicali, si capisce che il reggaetón clásico, il dembow, la bachata e il bolero sono tutti presenti. È tutto il risultato di amore, ammirazione e massimo rispetto».
Qualche settimana dopo il nostro incontro, Motomami – il prodotto di una carriera di esplorazione sonora e di indagine interiore – si avvicina alla data di uscita. La promozione è in linea con il rango elevato di Rosalía: la cantante appare a The Tonight Show con Jimmy Fallon non come intrattenimento musicale ma come ospite a pieno titolo, e si complimenta con il conduttore per la sua energia da “moto-papi”. Si esibisce al Saturday Night Live, cantando in spagnolo davanti a un pubblico di milioni di persone. E poi, la sera prima dell’uscita ufficiale, diffonde una speciale esibizione registrata per il suo TikTok. Condensa la maggior parte dell’album in un medley di mezz’ora, utilizzando molti degli inconfondibili effetti speciali della app e giocando sull’idea che sarà tutto consumato dal telefono.
L’esibizione, decisa e sicura, fatta per il pubblico più vasto che possa immaginare, ribadisce chiaramente una cosa. Con i suoi primi due album, Rosalía ha creato un mondo in cui ha accolto gli ascoltatori. Ma lo ha fatto in modo tale per cui il suo nuovo lavoro, e tutto il suo lavoro in futuro – sprezzante, meravigliosamente caotico, inconfondibilmente suo – uscirà in un mondo della musica pop, plasmato in modo sottile ma indelebile dalla sua influenza.
Chica, qué dices? Lei risponde: «todo».
PRODUCTION CREDITS:
Foto di Jack Bridgland
Styling di Oliver Volquardsen
Hair Sergio Serpiente with One Off Artists using Sebastian
Makeup Mariona Botella for Rosalía using MAC Cosmetics
Nails Anna Sancho
Tailoring Rosa Pérez Cadenas
Set design Chloe Rood at Dais Agency
Produced Susana & Kiku at BCN Skies Productions