TRIESTE. Nella loro evoluzione i robot non sono molto diversi dagli esseri umani e dagli animali: come i bambini e i cuccioli traggono maggior giovamento dallo sviluppo che avviene nelle prime fasi della loro vita. Mentre una crescita uniforme e continua, distribuita nel corso della vita, sembra non dare gli stessi benefici. È quanto risulta da uno studio di robotica evolutiva realizzato da Giorgia Nadizar, dottoranda all’Università di Trieste in Scienza dei dati applicata e intelligenza artificiale, con la supervisione del professor Eric Medvet e la collaborazione di Karine Miras, del Dipartimento di Intelligenza artificiale della Rijksuniversiteit Groningen.
Nadizar, che lavora all’interno dell’Evolutionary Robotics and Artificial Life Lab dell’ateneo triestino, si è concentrata sullo sviluppo di “soft robot” modulari, per indagarne le dinamiche e concludere che anche nel caso di creature artificiali la loro crescita è più efficace se ricalca le tempistiche degli organismi biologici. «Così come è fondamentale per gli esseri viventi, si ritiene che anche per i robot, che sono spesso progettati per imitare gli organismi biologici, lo sviluppo sia cruciale per ottenere migliori risultati – spiega Nadizar –. Ma finora non era chiaro quale fosse la programmazione più appropriata per lo sviluppo di agenti artificiali. Con questo studio abbiamo testato, attraverso una serie di simulazioni, se anche nel caso dei robot sia meglio concentrare le fasi di sviluppo nel periodo iniziale della loro esistenza».
Come avete sviluppato questa indagine?
Con un approccio evolutivo e attraverso una serie di simulazioni abbiamo costruito un esperimento per valutare come i robot reagiscono alla crescita e quanto questa impatta sulle loro prestazioni. Per farlo abbiamo utilizzato dei programmi di sviluppo di “soft robot” modulari e abbiamo testato, aggiungendo di volta in volta dei moduli, a scadenze temporali fisse, come queste aggiunte hanno condizionato la loro capacità di muoversi nello spazio.
Cosa sono i “soft robot” modulari?
Sono un po’ come le costruzioni realizzate con i mattoncini della Lego, ma con in più la capacità di contrarsi o espandersi. Sono robottini che si possono assemblare o sono in grado di autoassemblarsi.
Cosa avete scoperto?
In teoria più un robot è grande, che nel caso di robot modulari significa che è composto da un maggior numero di pezzi, più dovrebbe essere in grado di eseguire al meglio un compito, come quello di muoversi nello spazio. Ma nel nostro esperimento abbiamo osservato che ciò è vero solo se riusciamo a fare sviluppare i nostri robot abbastanza rapidamente, in modo che per la maggior parte della loro vita possiedano una dimensione fissa. È come per gli organismi viventi, che all’inizio dell’esistenza crescono molto velocemente ma poi si fermano. Nel caso della nostra simulazione abbiamo ipotizzato una vita di due minuti e uno sviluppo che si svolge nei primi 30 secondi.
Cosa significa robotica evolutiva?
Che per ottimizzare i robot usiamo tecniche che prendono spunto dai processi evolutivi degli esseri viventi. Partiamo da una popolazione di candidati, la evolviamo per diverse generazioni, dal nonno al figlio robot, e valutiamo, come avviene per gli organismi viventi con la selezione naturale, le soluzioni più adatte alla sopravvivenza. —
