TRIESTE. «“La Fame” è ciò che ci fa sempre procedere in avanti, quell’istinto che ci fa rispondere ai nostri bisogni più bassi ma anche a quelli più alti, la fame ci comanda e fin che c’è siamo vivi. Il disco parla di quello che ci muove o che dovrebbe muoverci, come esseri umani».
“La Fame”, secondo album della cantautrice triestina Chiara Vidonis, esce venerdì per Fiori Rari (distribuzione Believe), registrato e mixato al 360 Music Factory di Livorno, vede la produzione di Karim Qqru (The Zen Circus). Dagli esordi nel ’99 con la band triestina Linea Bassa, Vidonis ha continuato a fare musica, a Roma dove ha vissuto per molti anni e nella città natale, in cui è poi tornata. Vincitrice del Premio Bianca d’Aponte e del Premio Pigro, nel 2015 è uscito il suo esordio “Tutto il resto non so dove”; si è fatta conoscere sui palchi d’Italia ed è arrivata fino negli Usa, a Houston e New York.
Quali differenze rispetto al primo album?
«Le sonorità de “La Fame” si allontanano per molti aspetti da “Tutto il resto non so dove”, ed è quello che mi interessava sperimentare, non solo negli arrangiamenti ma anche in fase di scrittura. Una dimensione in cui ritrovarmi ma che mi portasse in posti nuovi. Il disco di debutto rimane per me un orgoglio grande, lo riascolto spesso, mi ci riconosco, riconosco quello che ero e che ho voluto raccontare in un certo momento della mia vita. Non volevo che il secondo fosse una ripetizione, è per questo che sono entrata in studio di registrazione solo dopo quattro anni. Avevo bisogno di canzoni che rappresentassero un cambiamento».
C’è un filo che lega i brani?
«Scrivere è più un flusso creativo, che lascio scorrere senza troppe regole o limiti, per arrivare poi alla fine, quando mi rendo conto che è la canzone che parla a me, che mi svela quello che è il significato. Quando abbiamo chiuso l’album ho iniziato ad ascoltarlo con un po’ di distacco e vi ho trovato un filo conduttore che è, appunto, “La Fame”, è come se avessi scritto un disco per ricordarmi quello che è importante, che mi deve sempre portare avanti».
“L’inizio” parla dei social, come li vive?
«Un tasto dolente. Mi sento molto lontana dal tipo di comunicazione che impongono, dagli standard narrativi che si ripetono con una comunicazione basata sul mostrare quello che è necessario, non quello che è reale o sincero. Un circolo vizioso e tossico che non favorisce emozioni positive. Liberarsi dalla smania di apparire sui social e di angosciarsi per non riuscire a essere efficaci nell’auto-promozione è necessario per mantenere la propria salute mentale, che per me è sempre al primo posto».
Trieste è presente nelle canzoni?
«Molto. Penso a “La mia debolezza” dove dico “abbandoniamo le distanze, siamo un mare di confine, io e te”. Questa immagine riporta all’impossibilità di definire i confini di un mare, anche se l’essere umano li impone, esattamente come fa con la terraferma. Penso quindi al mare del nostro golfo che si mescola col mare sloveno e croato, ed è lo stesso mare, i suoi confini sono un concetto astratto, l’acqua non li rispetta di certo nel suo continuo muoversi e mescolarsi».
La vedremo dal vivo?
«Sicuramente quest’estate».—