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Lo slalom di tre fratelli tra Vaia, la pandemia e le grane burocratiche: ecco maso Colcuc Hof

Lo slalom di tre fratelli tra Vaia, la pandemia e le grane burocratiche: ecco maso Colcuc Hof

A Colle Santa Lucia, Marco, Giulia e Stefano hanno avviato un allevamento di capre: cinquanta litri di latte al giorno da trasformare in formaggio e yogurt

COLLE SANTA LUCIA. Cristina scende dall’auto appena parcheggiata su questo balcone che dà sull’Alto Agordino. Di fronte Larzonei, incorniciato dai prati, sorveglia. Sopra passa la Strada de la Vena che congiunge le miniere del Fursil con il Castello di Andraz. «Mamma – la informa in dialetto Giulia, la primogenita dei tre fratelli Tasser – gli stavamo raccontando della prima volta che abbiamo provato a fare il formaggio». Cristina alza gli occhi al cielo. Oggi, quattro mesi dopo che il Maso Colcuc Hof ha ufficialmente aperto, quel giorno lo si può però ricordare con il sorriso.

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Marco, 24 anni, il titolare dell’azienda, che è pure consigliere comunale, Giulia, 31, Stefano, 20, il fratello più piccolo, mamma Cristina e papà Antonio erano tutti là nel caseificio annesso alla stalla che ospita una settantina di capre. «Avevamo gli appunti in mano – dice Giulia – e cercavamo di seguirli passo passo, ma quella volta abbiamo dovuto buttare via tutto». Recita, il vecchio adagio, che il primo giorno che si va in montagna non si fa formaggio. Vale, adattato, pure per la famiglia Tasser-Colcuc, che da sola copre più della metà degli abitanti della frazione di Colcuc di Colle Santa Lucia. Ci si arriva svoltando a gomito poco prima del Belvedere lungo una strada a una sola corsia che necessita di asfalto e protezioni.

Cristina, all’inizio, pensava che Marco potesse prendere una carreggiata più larga e pianeggiante, ma oggi lo affianca occupandosi della lavorazione dei circa 50 litri di latte giornalieri. «Dopo i quattro anni alla scuola edile di Sedico – dice Marco – avevo fatto un mese e mezzo in Toscana: era un buon lavoro, posto fisso. Dentro di me pensavo, però, che togliere tempo e risorse a una montagna già povera non era giusto. Se vuoi restare qui o vai sugli impianti o in Luxottica o metti su qualcosa di tuo. Io ho scelto la terza, anche se d’inverno sono comunque sugli impianti di Pescul».

L’idea di realizzare una stalla risale al 2015. «Quando aveva 17 anni e studiava ancora – dice Giulia guardando il fratello – voleva le capre: a nulla sono valse le resistenze della mamma». Marco, della famiglia, è il creativo. «Le idee folli sono mie – riconosce – ma se vanno in porto è merito loro». Attorno all’input da lui messo sul tavolo durante una cena domenicale di sette anni fa, la famiglia si è radunata, nel vero senso della parola: si è ridotta a uno ed è partita da zero. O quasi. «Fino al 1980 – racconta Marco – il nonno aveva ancora stalla e fienile: un paio di mucche, qualche capra, conigli, galline. Quando è morto, la nonna ha detto basta e quella storia si è fermata».

Cristina si era cimentata nel fare un po’ di formaggio in casa, ma nulla più. Antonio, originario della Badia, aveva alle spalle una famiglia contadina, ma nella vita aveva fatto altro. Giulia ha studiato scienze e tecniche del turismo a Udine e, dopo un’esperienza a la Usc di Ladins (il settimanale dei Ladini), lavora part-time all’associazione turistica di Colle Santa Lucia. Stefano si è diplomato da poco ai congegnatori di Agordo ed è appena stato assunto dalla ditta Dolomiti Case dove dà sfogo alla sua indole pratica.

«Ho pensato di puntare sulle capre – racconta Marco – perché il mercato legato alle mucche mi pare saturo. All’inizio c’erano tante idee, ma anche tante domande: che tipo di struttura avrebbe potuto essere sostenibile? Su quanti capi avremmo dovuto puntare? Avevamo, inoltre, la necessità di trovare uno specialista che ci seguisse nella parte pratica e burocratica e ci aiutasse a incanalare i molteplici spunti verso un obiettivo finale». I suggerimenti di Mirko Galliani, agronomo della Val Gardena, sono stati preziosi. Marco e il resto della famiglia hanno partecipato a un bando del Psr ottenendo un finanziamento al 40%. Poi hanno acceso un mutuo per sistemare il vecchio fienile e ampliarlo dell’80% per realizzare una stalla interamente in legno dove tenere le capre.

«I lavori dovevano iniziare il lunedì di Vaia – ricorda Marco – ma sono di fatto slittati di più di un anno. A febbraio 2020 la ditta arriva, lavora tre settimane, poi scoppia l’epidemia e tutto si ferma di nuovo. Abbiamo finito il cantiere a inizio 2021, ma i problemi, legati questa volta alla burocrazia, non erano finiti. Dovevamo comprare le capre, ma ci mancavano le autorizzazioni sanitarie che hanno tardato non poco. Lo ammetto: c’è stato un momento in cui mi sono detto: “Se sapevo che era così, non mi sarei messo”. Per l’amor di dio: il contributo è arrivato, ma se si vuole incentivare le attività in montagna bisogna snellire le procedure».

Le capre, che oggi mangiano il fieno nella stalla e danno il latte per la già ricca e variegata produzione del maso, sono arrivate un po’ alla volta. «Galliani – dicono Giulia e Marco – ci ha suggerito una stalla di Courmayeur che fa un latte fra i più buoni del Nord-Italia. Da lì, col corriere, sono arrivate prima 33 e poi 15 camosciate delle Alpi. Altre tredici di razza saanen, più un maschio, sono venute da Aldino in Alto-Adige. «Le prime – dice Marco – sono quelle più belle, da stalla, ma anche le più pigre. Le altre, invece, quando le porti al pascolo saltano che è un piacere».

Marco, Stefano e Antonio si alzano ogni giorno alle 4.30-5. Vanno in stalla e ci stanno due-tre ore per la prima mungitura e per i lavori ordinari. «Prima della colazione – spiega Marco – occorre pure dare il latte ai piccoli che nel frattempo sono nati. Poi la giornata riserva una serie di incombenze che variano anche a seconda della stagione». Fra poco inizierà quella del fieno. «Sfalciamo due ettari qui vicino casa e a Larzonei – dice Marco - due ettari e mezzo a Codalonga e altri appezzamenti sul Giau dove c’è un fieno minuto, il preferito dalle capre. Ci sarebbero anche tanti altri prati da sfruttare e che i privati ci metterebbero a disposizione, ma è impossibile arrivarci, perché mancano le strade. Dopo Vaia la viabilità è migliorata, ma se voglio mettere a posto il passaggio investendo il mio tempo e le mie risorse, non ho il permesso. Peccato, perché un territorio pulito è un valore aggiunto per tutti». Intanto, comunque, si fa con quello che si ha e ogni giorno dal piccolo caseificio moderno Cristina fa uscire formaggi anche aromatizzati, ricotte, yogurt bianco e alla frutta, budino al cioccolato, panna cotta.

Lei e Giulia si occupano anche della vendita nello spaccio ricavato nella vecchia fucina del nonno dove gli attrezzi di un tempo appesi alle pareti allacciano le storie. «Fra poco vogliamo provare con lo yogurt da bere – annuncia Giulia – facciamo un passo per volta. Intanto il venerdì svolgiamo nell’Alto Agordino il servizio di vendita a domicilio dei nostri prodotti che si trovano comunque anche a Colle, Pescul, Sottoguda, Livinallongo e alla Stanga». Marco, nel frattempo, rimugina idee dietro la barba. «In futuro si potrebbe pensare di investire nuovamente – dice, citando i circa diecimila passaggi annuali ipotizzati lungo la Strada de la Vena – vediamo: ci vogliono alcuni anni per capire se l’attività sarà in grado di autosostenersi».

Mentre guarda verso il Pore condividendo l’ennesima idea e ricordando le fatiche dei propri e degli altrui avi, Marco parla di sé per la seconda volta usando la parola contadino. Il suo suono desueto che accompagna la discesa a valle è un ritorno al futuro. [FINETESTO]—

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