A Cesena esiste una delle cinque banche nazionali dove con tecniche d’avanguardia si coltiva e si conserva, per poi trapiantarla, la cute umana. Da una sola donazione si ricavano 3.000 centimetri quadrati: terapia salvavita in caso di ustioni gravi, malattie degenerative, ricostruzioni di tessuti in ogni parte dell’organismo.
Il viaggio nel centro della «fabbrica della pelle» inizia con un batticuore, non appena si varca la porta e si procede in un corridoio tortuoso. Un labirinto da cui si accede a tre «stanze bianche» in sequenza, dove bisogna ogni volta cambiare calzari, camice, guanti e mascherina. Un viaggio corto ma lento e, quando si arriva al traguardo, la parola d’ordine è decontaminazione. Qui viene monitorata anche l’aria che si respira. Elena Bondioli, dirigente biotecnologo responsabile dell’Attività di Ingegneria tessutale e Terapia cellulare, coltiva con il suo team la pelle umana, utilizzando fattori di crescita: dopo 15 giorni si ottengono fogli di quasi due metri, simili a veli di seta. Sottilissimi, meno di un millimetro di spessore. Vengono disinfettati, controllati al microscopio, inseriti in sacche con liquidi e crioprotettivi per essere conservati in una nuvola di azoto liquido a meno 180 gradi, dentro grandi freezer.
Accreditata dal Centro Trapianti e dall’Iss, Istituto superiore della Sanità, la Banca Cute della Regione Romagna (Rer) dell’Ausl di Cesena è una delle cinque banche nazionali che risponde alle richieste di pelle e tessuti provenienti da ospedali italiani e internazionali. Si fabbricano e si conservano metri quadrati di tessuto cutaneo poi impiegati per trapianti: su pazienti ustionati o con malattie della pelle degenerative, per ricostruire tendini o cartilagine, in oculistica, senologia, odontoiatria, urologia. Grazie al rilascio di sostanze biologicamente attive, la cute agisce non solo come copertura ma anche come stimolo attivo per la guarigione.
L’idea di fondare una cell farm è di Davide Melandri, dermatologo, chirurgo plastico e direttore del Centro grandi ustionati all’ospedale Bufalini di Cesena. Dopo la sua esperienza al Shriners Burns Hospital for Children, a Galveston, nel golfo del Messico, ha portato in Italia l’avanguardia texana. «Ho studiato come venivano curati gli ustionati provenienti dalle raffinerie di petrolio. Mi colpiva vedere come la presenza di una banca della cute avesse un impatto fondamentale sulla sopravvivenza dei grandi ustionati. Quando tornai in Italia cercai di crearne una all’ospedale Bufalini» racconta Melandri, che ha realizzato il suo sogno a Cesena, nel 1999.
Tutto questo non sarebbe possibile senza la generosità dei donatori. Persone che non ci sono più e in vita hanno dato il consenso alla donazione dell’organo più esteso del nostro corpo: la pelle, appunto. Entro 24 ore dal decesso, una squadra specializzata effettua il prelievo da donatori di età tra 14 e 78 anni. «Preleviamo strisce di spessore inferiore al millimetro dalle gambe, braccia e tronco. In zone non visibili, per non deturpare il corpo» spiega Melandri.
Un solo gesto può curare e salvare tante vite. In media, si ricavano 3.000 centimetri quadrati a donazione. La banca offre una vasta gamma di tessuti, ottenuti dalla cute o dai suoi derivati. Quella omologa (proveniente dallo stesso paziente) è considerata terapia salvavita nel caso di ustioni estese o gravi malattie della pelle. In queste situazioni si verifica un’insufficienza acuta dell’organo, definita «skin failure». «Si muore anche di insufficienza cutanea» dice Melandri.
Chi arriva al Centro grandi ustionati dell’ospedale Bufalini sono persone sfigurate dalle fiamme. «L’anno scorso abbiamo avuto un caso estremo che ci ha coinvolto molto: un bambino svizzero di cinque anni con un’ustione dell’80%» ricorda Melandri. Colpa di una fiammata fuoriuscita dal furgone del padre, su cui erano trasportate due moto da cross. Il bambino è stato in coma farmacologico per più di un mese con ventilazione meccanica e tracheotomia. Il team ha usato tecniche particolari che hanno permesso di usare la pochissima pelle sana rimasta. Ora sta bene e segue una fisioterapia riabilitativa.
Il 70% delle ustioni, spiegano gli esperti, avviene in casa. I motivi principali sono dovuti all’alcool per ravvivare il fuoco del camino o del barbecue. Poi c’è la benzina usata in maniera impropria. L’acqua bollente invece è una delle maggiori cause di ustione nei bambini. Nel 10% dei casi si tratta di incidenti sul lavoro. Come la terribile strage di Viareggio, causata da un sinistro ferroviario nel 2009, in cui morirono 32 persone. Al Bufalini ci vollero molti mesi per salvare una signora con ustioni gravissime: fu necessaria la pelle di due donatori.
Poi, nel 2018, l’incidente del raccordo autostradale di Bologna. L’esplosione di un Tir generò un inferno, che coinvolse anche 11 carabinieri e due agenti della stradale. Un poliziotto e un ragazzo ustionati furono ricoverati al Bufalini, ne uscirono dopo un mese. Altri pazienti, assegnati agli ospedali della zona, vennero poi accolti a Cesena per essere trattati e operati.
Molti sono i tessuti prodotti e distribuiti dalla banca di Cesena. Un’innovativa tecnica di decellularizzazione, brevettata con l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, consente di ottenere un prodotto bioingegnerizzato, che ha il grande vantaggio di ridurre a zero le possibilità di rigetto sul paziente. «Rimuovendo tutte le cellule del donatore, il derma mantiene inalterata la sua struttura architettonica collagenica e fibrosa comportandosi, una volta trapiantato nel ricevente, come una matrice connettivale totalmente biocompatibile, ideale per la ricostruzione dei tessuti» precisa Melandri.
Valeria Purpura, responsabile della ricerca, e Paola Minghetti, che si occupa delle linee di prodotto, spiegano gli altri usi innovativi. La cute decellularizzata può essere usata in ambito ortopedico per ricostruire le componenti muscolo-tendinee danneggiate, cuffia dei rotatori e cartilagine. Uno dei maggiori ambiti di impiego è in senologia, per la ricostruzione del seno dopo un tumore. In dermatologia, nella riparazione di ulcere, fra le quali quelle causate da diabete. In chirurgia, per ricostruire la parete addominale. Ma anche in odontoiatria, per rimpolpare i tessuti molli, in oculistica, per allungare la palpebra inferiore. Infine, in urologia.
Particolarmente efficace nel trattamento delle ulcere croniche recidivanti è il Ded, Derma de-epidermizzato: un bioprodotto di derivazione cutanea costituito da piccole lamine di cute prive dello strato epidermico sovrastante. Un altro prodotto, solitamente trattato come rifiuto ospedaliero, è la membrana amniotica donata dalle partorienti; in una sorta di «economia circolare« applicata alla medicina, viene trasformata in un toccasana per ferite, ulcere diabetiche e vascolari o ustioni di secondo grado superficiali. Questo perché, oltre a possedere proprietà antinfiammatorie, antimicrobiche e immunosoppressive, fornisce anche un supporto per la crescita delle cellule.
«L’ultimo nato nella nostra fabbrica della cute è il tessuto adiposo autologo, proveniente dal paziente stesso. Lavorato con metodiche particolari diventa ricco di staminali e di fattori di crescita» conclude Melandri. Viene stoccato nei depositi criocongelati della banca e impiegato in ortopedia e chirurgia plastica. «L’obiettivo poi sarà mettere a punto protocolli adatti a una grande varietà di tessuti, sempre più biocompatibili, dalla cartilagine ai vasi e persino alle valvole cardiache».
