Ieri l’ok del pontefice in udienza con il cardinale Semeraro: «Infermiere santo, in Argentina svolse un’attività eroica»
Boretto. Ieri è stata una giornata storica per la chiesa reggiana e in particolare per la comunità di Boretto. Durante l’udienza nella quale ha ricevuto il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione del beato Artemide Zatti. Con questo atto, dunque, si apre la via alla canonizzazione di Artemide Zatti, in un giorno e in un luogo che sarà stabilito dallo stesso papa Francesco.
Una notizia attesa da tempo e che a Boretto – dove Zatti nacque nel 1880 da una famiglia povera, con numerosi figli – è stata accolta con gioia e soddisfazione, con un pensiero particolare a chi, in questi anni, si è speso tanto per valorizzare la figura del futuro santo borettese, come i compianti don Gianfranco Caleffi, storico parroco particolarmente devoto a Zatti, e Volmer Calzolari, storico del paese che aveva intrecciato legami con l’Argentina e che si impegnò in prima persona per la realizzazione del monumento dedicato a Zatti a Santa Croce.
Proprio papa Francesco rivestì, nella promozione della causa di beatificazione di Zatti, un ruolo determinante. Infatti Jorge Mario Bergoglio, quand’era Superiore della provincia argentina dei Gesuiti (in particolare a partire dal 1976, anno in cui poté approfondire la conoscenza di Zatti), ebbe una parte molto importante nel diffondere e nel “promuovere”, presso il proprio istituto religioso la conoscenza di questa figura di laico consacrato. Un “preambolo” che lascia aperta la possibilità che la proclamazione del santo possa avvenire in Argentina (dove Bergoglio non è più tornato da quando è pontefice), anche se l’ipotesi più probabile rimane sempre quella di Roma.
Quella di Zatti è una storia di grande altruismo e sacrificio. «Il suo servizio – scrive la Santa Sede – non si limitava all’ospedale, ma si estendeva a tutta la città, anzi alle due località situate sulle rive del fiume Negro: Viedma e Patagones. In caso di necessità, si muoveva a ogni ora del giorno e della notte, con qualunque tempo, raggiungendo i tuguri della periferia e facendo tutto gratuitamente. La sua fama d’infermiere santo si diffuse per tutto il Sud, e da tutta la Patagonia gli arrivavano ammalati. Non era raro il caso di ammalati che preferivano la visita dell’infermiere santo a quella dei medici.
Fedele allo spirito salesiano e al motto lasciato in eredità da Don Bosco ai suoi figli, “lavoro e temperanza”, egli svolse un’attività prodigiosa con abituale prontezza d’animo, con eroico spirito di sacrificio, con distacco assoluto da ogni soddisfazione personale, senza mai prendersi vacanze e riposo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA