Gli studi al Petrarca, il Conservatorio a Bolzano, i concerti e i riconoscimenti l’avvio a una promettente carriera. Poi, a soli venticinque anni, il suicidio
TRIESTE Nel 1958 ottenne il terzo premio al prestigioso Concorso internazionale Ferruccio Busoni davanti a Bruno Canino, nel 1961 vinse ex aequo con Pier Narciso Masi il Concorso pianistico internazionale Ettore Pozzoli (l’edizione precedente era stata vinta da Maurizio Pollini), l’anno successivo suonò da solista con l’Accademia nazionale di Santa Cecilia diretta da Claudio Abbado. Nel febbraio del 1963, a venticinque anni, decise di staccare per sempre dalla tastiera quelle mani che già stringevano la certezza di una carriera artistica di alto profilo.
Chi può raccontare per esperienza diretta della personalità e del talento di Fabio Peressoni lo fa ancora oggi con un misto di ammirazione e sgomento. È difficile immaginare il motivo per cui un artista affermato, pienamente riconosciuto e avviato verso palcoscenici prestigiosi, dal carattere gioviale e molto amato da amici e colleghi, abbia potuto perdere contatto con il senso della vita senza far nemmeno sospettare un disagio. Tra i suoi amici più cari c’era la pianista triestina Giuliana Gulli che ricorda: «Era estremamente sensibile, sia nella musica che come persona. Capiva e leggeva a fondo le cose. Ogni tanto lo prendevano momenti di malinconia che tuttavia riuscivamo presto a dissipare con qualche battuta. Era dotato di uno spiccato senso dell’umorismo e faceva sempre divertire tutti, anche con formidabili imitazioni e barzellette. Non ha fatto trapelare nulla, per questo nessuno ha capito. Era una persona equilibrata, fine, profonda, un amico con il quale ci raccontavamo tutto. Ricordo serate trascorse a parlare fino a tarda notte di qualsiasi argomento; aveva un’ampia cultura ed era un interlocutore straordinariamente interessante».
Sono considerazioni confermate da chiunque avesse avuto contatti con lui, come Gianni Gori che racconta: «L’ho conosciuto a casa di amici musicisti, dove ho avuto anche il piacere di ascoltarlo suonare. Era un talento eccezionale, a livello di Dino Ciani. Aveva ricevuto premi e riconoscimenti importanti, ma non era un divo, anzi, appariva come una persona di grande semplicità, senza ombre».
Peressoni nacque il 16 maggio del 1938 a Trieste, frequentò il Petrarca e la sua non era una famiglia di musicisti. «Viveva in via Vasari e aveva due fratelli, nessuno dei quali si occupava di musica. Suo padre aveva un negozio di abbigliamento nei pressi della stazione», spiega Giuliana Gulli, che a proposito dell'artista aggiunge: «Per lui la musica è stata una vocazione. Ha studiato con Alessandro Costantinides a Trieste e si è diplomato al conservatorio di Bolzano con un magnifico esame. Leggeva la musica con una facilità sorprendente e adorava i romantici, in particolare Schumann e Chopin, ma si interessava anche alla musica nuova, pur non avendo avuto occasione di inserirla nei suoi programmi. Nell’ambiente era considerato uno dei migliori giovani talenti, a livello nazionale».
Il suo potenziale si fece notare da subito: nel 1953, ancora adolescente, Peressoni aveva già debuttato a Milano con grande successo di pubblico, mentre nella sua Trieste si impose all'attenzione dell'ambiente musicale poco dopo, nella competizione per giovani pianisti del Centro universitario triestino, ma soprattutto con il debutto da solista al Teatro Verdi nel concerto per pianoforte e orchestra n.1 di Liszt con l’Orchestra Filarmonica Triestina. Ritornò sullo stesso palcoscenico l'anno dopo, come pianista solista nel balletto “Notti nei giardini di Spagna” di De Falla, ancora una volta la Filarmonica in entrambe le occasioni diretta da Luigi Toffolo. Dietro ognuno dei suoi concerti c'era la necessità di analizzare, approfondire, comprendere, fonte di molti, costruttivi dubbi che spesso condivideva con gli amici. Quella “vitalità e partecipazione affettiva che gli facevano vivere più intensamente del normale ogni vicenda”, come si scrisse di lui, erano il suo modo di affrontare sia la vita che l'arte, con la differenza che nel secondo caso a sostenerlo c'era la solida tecnica del virtuoso.
Primo tra i Jeunes Talents alla competizione promossa nel 1959 dalla Radiodiffusione francese e dalla Rai, registrò e si esibì anche a Parigi e poco più tardi a Milano con l’Orchestra sinfonica della Radiotelevisione italiana. Incoronato dalla stampa come una promessa del pianismo internazionale, il suo carnet di appuntamenti concertistici in Italia si arricchì di impegni, anche presso importanti istituzioni sinfoniche, dall'orchestra dei Pomeriggi Musicali alla Scarlatti di Napoli, in concerti diretti da Arturo Basile, Frieder Weissmann, Carlo Farina. L'eminente voce del critico musicale Franco Abbiati nel 1961 lo definì “interprete magnifico”.
A Trieste Peressoni fu più volte ospite della Società dei Concerti a Trieste, l’ultima nel 1962, anno in cui ottenne la cattedra di pianoforte complementare al conservatorio Tartini. Pochi mesi dopo, uscendo da casa, decise di non arrivare alla lezione e nemmeno all'appuntamento con le prospettive di una carriera già avviata. Con una scelta rimasta incomprensibile a tutti spiccò il volo - letteralmemte, gettandosi dal quinto piano di un palazzo in Viale XX Settembre scelto a caso -, ma verso l'eternità di un ricordo che ancora oggi ribadisce con ammirazione e rispetto le doti e le prospettive di un giovane artista destinato, come scrisse un quotidiano subito dopo il suo diploma, a trovarsi «ai primi posti del nostro concertismo».