I leghisti lombardi lanciano un grido d’allarme: «Se continuiamo così arriviamo al 10 per cento». Evidentemente hanno fatto la bocca ai grandi numeri e dimenticano che prima dell’exploit di Matteo Salvini quel 10 per cento che ora disprezzano non l’avevano visto mai neanche con il binocolo. Se lo sognavano. E se lo sognerebbero senza Salvini. Anche perché i due soggetti più popolari della Lega stessa, dopo Salvini, sono certamente il governatore del Veneto – eletto con maggioranza bulgara – Luca Zaia – il Doge del veneto – e il vicino governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che non si sognano neanche, almeno fino ad oggi e salvo conversioni subitanee sulla via di Damasco, di abbandonare la loro poltrona – certa – per dedicarsi a qualcosa di molto incerto.
Ora, non c’è alcun dubbio che la Lega sia in seria crisi di consensi – almeno nei sondaggi perché il voto nell’urna, poi, è tutt’altra cosa – e che il suo leader, Matteo Salvini, si sia consumato via via il repertorio dei suoi cavalli di battaglia, in particolare il tema dell’immigrazione e quello del sovranismo. Ma non c’è altrettanto dubbio che, ad oggi, lo ripetiamo, non si vede un altro leader in grado di sostituirlo se non nell’ipotesi di riportare la Lega al di sotto del 5 per cento, livello al quale Salvini se la trovò nelle mani. È anche vero che nella storia della Repubblica italiana non c’è mai stato un tempo come questo nel quale i partiti sembrano essere posti sulle montagne russe che nell’agone elettorale. Vanno su e giù – come si dice in Toscana – come le corna delle chiocciole. È il caso della Lega, è stato il caso del Movimento 5Stelle ed è stato il caso dell’oltre 40 per cento del Pd di Renzi ora attorno al 20 per cento, la metà. L’unico partito che, ad oggi, continua linearmente nel suo processo di crescita è quello che si identifica con Giorgia Meloni e che ha indubbiamente goduto della sua opposizione contro tutti. Si vedrà poi la tenuta alle elezioni anche di Fratelli d’Italia. Quindi in questa situazione non c’è da meravigliarsi né delle discese ardite né delle risalite – altrettanto ardite – come avrebbe cantato il grande Lucio Battisti.
L’anno prossimo ci saranno le elezioni politiche e di qui a non molto inizierà la campagna elettorale. Su cosa punterà Matteo Salvini? Quali temi cavalcherà? Tornerà sui temi classici del sovranismo, dell’immigrazione e della sicurezza? Punterà su temi più sociali tipo la povertà o il lavoro del periodo di crisi economica post-Covid e post-guerra? A tutto questo non possiamo rispondere ma il problema è che forse anche lui al momento non saprebbe rispondere. Certamente ci starà pensando e certamente si sarà posto il problema.
Ad oggi Salvini viene dalla partecipazione a un governo giallo-verde e dal governo Draghi-dentro-tutti che certamente non l’ha favorito in termini di consenso, anzi è certissimo che lo abbia sfavorito. Si sono sciolti infatti come neve al sole i suoi temi e cavalli di battaglia. Il popolo italiano si è trovato alle prese con la pandemia, con la crisi economica da essa derivata, con la guerra e con il caro energia. Sono temi di fronte ai quali non si può sviare cioè occorre che siano affrontati in modo concreto e in questo caso i discorsi “stanno a zero”. Dunque, certamente per Matteo Salvini si pone oggi il più grosso problema politico da quando è alla guida della Lega, ma ci pare almeno imprudente decretarne o la fine politica o l’impossibilità che non possa tornare a cavalcare i suoi temi classici. Visti i frenetici su e giù dei partiti, lo ripetiamo, è prudente astenersi da giudizi definitivi su ciò che accadrà.
Un partito si fa con tre componenti: un leader, un linguaggio e un programma politico. Se il leader è Salvini dovrà ripensare certamente al suo linguaggio e al suo programma politico. Sono ancora adatti quei suoi classici al clima odierno? C’è qualcosa da cambiare in profondità? L’immigrazione e la sicurezza oggi sono ancora temi centrali o prevalgono i temi economico-sociali? Non sono questioni da poco.
I malpancisti nella Lega non sono una novità. Ci sono da quando Salvini ha preso le redini. Un po’ più silenti quando Salvini raccoglieva consensi intorno al 30 per cento, un po’ più loquaci quando Salvini raccoglie la metà dei consensi. Tutta gente che, comunque, deve la sua seggiola a Salvini stesso. In un partito si può scalciare, è un diritto farlo, e si può anche pensare alla sostituzione del leader ma occorre avere in mente un leader alternativo. Ce l’hanno i malpancisti? Mah.