UDINE. «Il 2 novembre è il giorno dei morti. Un vecchio ’nzenziglio e spetacchiato, rimasto solo in una casa vuota, prepara una pietanza tradizionale per onorare la festa. Con acqua, farina e zucchero il vecchio impasta l’esca pe li pesci de lo cielo: il pupo di zucchero, una statuetta antropomorfa dipinta con colori vivaci.
In attesa che l’impasto lieviti richiama alla memoria la sua famiglia di morti. La casa si riempie di ricordi e di vita: mammina, una vecchia dal core tremmolante, il giovane padre disperso in mare, le sorelle Rosa, Primula e Viola tre ciuri c’addorano’e primmavera, Pedro dalla Spagna che si strugge d’amore per Viola, zio Antonio e zia Rita che s’abboffavano’e mazzate, Pasqualino tuttofare, e il cane Orazio…».
Così Emma Dante racconta il suo ultimo spettacolo, “Pupo di zucchero” che andrà in scena al Palamostre di Udine per la stagione di Teatro Contatto oggi, venerdì 8, e domani sabato 9 alle 21. Si tratta di un’incursione nel mondo della tradizione meridionale, siciliana e napoletana antiche, ma riletto con il gusto visionario e anche ironico di una poetica tutta votata alla contemporaneità.
Tratto da un racconto del seicentesco Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile al quale Emma Dante si era ispirata anche per La scorticata visto alcune stagioni fa anche a Udine, Pupo di zucchero si avvale dell’interpretazione di Carmine Meringola con un’altra decina di attori e di una serie di pupazzi firmati da Cesare Inzerillo, che ispirandosi alle mummie dei Cappuccini esposte nelle catacombe di Palermo evocano l’ineluttabilità della morte.
«Anche se – ancora la regista e autrice anche dell’adattamento drammaturgico – in Pupo di zucchero la morte non è un tabù, non è scandalosa, ciò che il vecchio vede e ci mostra è una parte inscindibile della sua vita. Ciò non può che intenerirci. La stanza arredata dai ricordi diventa una sala da ballo dove i morti, ritrovando le loro abitudini, festeggiano la vita».
A dirigere questi “balli” il protagonista Carmine Meringola, cantastorie forte di una lingua naturalmente teatrale come il napoletano di Basile. Cantastorie per necessità – spiega Meringola, – perché questo anziano nell’attesa che l’impasto per il pupo lieviti ammazza la sua solitudine rievocando le persone che hanno segnato la sua vita e che non ci sono più. Persone presenti nella memoria che come d’incanto irrompono nella sua povera stanza con le loro storie e i loro passati, scatenando un cortocircuito tra il mondo dei vivi e quello dei morti, che gli farà dire che il 2 novembre c’è finalmente un po’ di vita in questa casa».
Una vita che si manifesta nei ricordi, nella narrazione che ciascuno fa di se stesso, ma anche in altre componenti teatrali, quali la musica e la danza. «Si – conferma Meringola – ci sono molte canzoni napoletane del ’600 eseguite e performate dal vivo dai diversi personaggi accompagnate da strumenti tradizionali come le tamorre, i triccheballacche, i putipu».
Quanto a definire questo spettacolo, l’attore non esita a dire che «è uno spettacolo emozionante perché tocca sia le corde del ricordo che quelle della solitudine. Nel quale c’è di tutto musica, danza, clownerie, e soprattutto una lingua, quello che uso io, antica che viene direttamente da Basile, ed è estremamente teatrale, e per questo comprensibilissima. Il tutto contribuisce a fare dunque di questa commemorazione dei morti una festa giocosa, un esperimento di teatro totale».