Il borgo di San Gimignano si annuncia all’occhio dell’osservatore anche da grande distanza, con la sua disposizione equilibrata delle grandi torri dell’abitato. Sono ancora, in gran parte, le imponenti torri del Duecento e del Trecento, edificate dalle famiglie più ricche e potenti del borgo. Elevate per rendere possibile, da quelle altezze, contemplare in lontananza i possedimenti meno facili da visitare. O per avvertire di ogni minaccia che incombesse dall’esterno sulla cittadina.
L'arcivescovo sigerico
All’interno della notevole cinta di torri, oggi, San Gimignano è rimasta più o meno com’era nell’età di Dante. Ed è per questo, perché il tempo non l’ha profondamente toccata, che ha potuto ottenere il riconoscimento di sito di particolare interesse ambientale, storico e culturale dell’Unesco. Il borgo medievale ha infatti una lunghissima storia, essendo stato costruito sulle vestigia di un abitato etrusco-romano, poi rimaneggiato dai longobardi all’epoca della loro discesa in Toscana. All’inizio del medioevo, l’abitato si offriva come luogo di riposo e ristoro ai viaggiatori che erano in cammino lungo la via Francigena. E, secondo la tradizione, fu proprio uno di quei viaggiatori che compivano il santo percorso, Sigerico, arcivescovo di Canterbury, a dare a questo borgo il nome con cui oggi ancora lo conosciamo. Sigerico, infatti, lo chiamò San Gemiano. Dedicando così l’abitato a Gemiano, il santo vescovo di Modena che aveva difeso molte terre italiche dall’occupazione e dalla distruzione di Attila.
“Monteriano”
Molti secoli dopo, un altro inglese dimostrò una particolare attenzione e un particolare affetto a questo borgo, che intanto aveva visto il nome cambiare lievemente nella forma in cui lo conosciamo oggi. Si tratta dello scrittore E. M. Forster, che aveva riconosciuto nella Toscana quel luogo dello spirito in cui possono trovare libera espressione tutte le passioni e le emozioni che, nella generale e comune vita civile, specie nell’allora impero britannico, si tendeva a reprimere. Il primo romanzo che Forster pubblicò, infatti, agli inizi del Novecento, ha per titolo “Monteriano”. Il nome di un borgo in Toscana.
Un borgo che in realtà sembra non esistere e il cui nome pare essere di completa invenzione dello scrittore. In realtà, secondo molti appassionati e studiosi di Forster, quel nome è ricalcato proprio su quello di San Gimignano. Nell’invenzione dello scrittore, un gruppo di inglesi soggiorna per breve tempo nel borgo. E quel soggiorno stravolgerà alla radice le vite ordinate di alcuni di loro. Agli inizi degli anni ’90, poi, una produzione anglosassone trasformò il romanzo anche in un film di successo.
Pan ed i centauri
Per Forster la Toscana poteva donare ai viaggiatori un tesoro unico, diverso dai tesori che si potevano raccogliere durante i viaggi in altri luoghi. Quel tesoro era la scoperta di se stessi. Della propria voce. La Toscana è, dunque, come abbiamo già notato in altre tappe del nostro percorso fin qui compiuto, l’approdo, o meglio, il ritorno ad un mondo altro e diverso. Un mondo fatto di miracoli, misteri, meraviglie. Forster stesso sintetizzò in una potente immagine questa sensazione della Toscana, quando scrisse che nella campagna di questa regione aveva avuto l’inattesa possibilità di imbattersi nel dio Pan stesso. E nei suoi seguaci, i centauri, metà uomini, metà cavalli. In effetti, Foster si era imbattuto nei butteri. E le gambe dei cavalieri toscani, strette lungo i fianchi del cavallo, sembravano parte dell’animale solo perché erano coperte da pelle di pecora o capra, per rendere più agevole e sicura la cavalcata. Forster rimase per sempre abbagliato da questa visione, che lo riportava agli albori dell’umanità, della poesia.
L’età di Dante
Dicevamo che visitando il borgo costruito con sapienza equilibrata, il viaggiatore può attraversare l’età comunale stessa, l’età di Dante. Può gettare così uno sguardo dall’interno in quell’Europa già unita, già legata da una radice spirituale e culturale comune, che si specchiava nell’arte e nella poesia dei primi secoli del medioevo. Entrare nelle chiese del borgo, ammirare i grandi lasciti delle produzioni pittoriche, scultoree e visive di quell’età, equivale di fatto ad immergersi completamente in quell’epoca.
La campagna e gli angeli
Osservare dal perimetro del borgo la sua campagna, costruita in modo inconfondibile su grandi fasce di toni smaltati ora verdi, ora d’oro, ora di macchia, ora di campi coltivati che sembrano delle facciate traforate, dei pizzi e merletti cuciti da dita lievi ed abilissime, significa ancora immergersi nel grande fiume della storia. In climi di sovrumana pace, sovrumani silenzi.
In effetti, il riconoscimento dell’Unesco non era solo legato all’abitato di San Gimignano, ma univa indissolubilmente ad esso i suoi dintorni e la sua campagna. Che sono un vero e proprio museo a cielo aperto, una serie di opere d’arte, di affreschi, all’interno dei quali è possibile camminare. Come dentro a un miracolo. Camminando entro queste cornici, si può comprendere bene, attraverso un’esperienza diretta, il titolo completo che Forster dette al suo primo romanzo toscano: “Dove gli angeli temono di camminare”, scriveva il poeta inglese. Sì, perché qui gli angeli, come noi, trattengono il respiro. Hanno paura di muoversi, nel timore di poter inavvertitamente danneggiare il sottile, miracoloso equilibrio che costruisce questa lieve e spiritualissima bellezza, il miracolo di San Gimignano, di questa Toscana.
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