LIVORNO. Se venisse a mancare il gas russo (o perché lo blocchiamo noi o perché lo bloccano loro), non dovremmo fare a meno solo dei condizionatori o dell’acqua calda sotto la doccia: si spegnerebbero le industrie. Lo dice il report di Terna sulla produzione di energia elettrica: quasi la metà (43%) della nostra elettricità è prodotta da centrali alimentate a gas. Lo dice Eurostat che, dopo l’attacco di Putin alla Crimea nel 2014, abbiamo compiuto il capolavoro strategico di aumentare dal 43% al 47-48% la dipendenza dal gas russo.
Eccoci adesso a correre ai ripari contando di andare a caccia di gas ovunque nel mappamondo per rimpiazzare il gas russo. Bisogna ottenerne la fornitura, ma non basta. Bisogna anche farlo arrivare, ed è possibile solo in due modi: o via tubo o via nave. E se arriva via nave ha bisogno di una accoppiata di navi: una metaniera che faccia l’andirivieni fra il Paese produttore e un impianto di rigassificazione che prenda il gas reso liquido mediante l’abbassamento della temperatura a meno 160 gradi e lo trasformi di nuovo in gas per immetterlo nella rete che distribuisce il gas in tutta Italia.
Nella corsa ai rigassificatori sembra esserci una (quasi) certezza: Piombino è in pole position e, come localizzazione specifica, in testa alle ipotesi sembra esserci un qualche spazio all’interno del nuovo porto. Teniamo presente che, avendo di fronte la più grande delle isole minori made in Italy (l’Elba), il porto di Piombino è uno degli scali passeggeri più importanti a livello nazionale: 2,8 milioni di passeggeri, 12.603 navi, 82mila camion spediti via mare e 4,2 milioni di tonnellate di merce nei dodici mesi dello scorso anno (ma negli anni pre-Covid i turisti erano ben più di tre milioni e i mezzi pesanti in transito sulle banchine schizzavano a standard fra 100 e 150mila). Con le banchine passeggeri grossomodo a un miglio, forse anzi un po’ meno, dalle tre ipotesi a banchina.
Tutto tabù entro 2 miglia
Certo, per i piombinesi è come sentirsi il rigassificatore sull’uscio di casa: anzi, dentro il “salotto” se pensiamo a realtà come i nuovi soggetti (come Pim) che avevano puntato sulle nuove aree per investire in attività produttive. Se prendiamo l’esempio più noto, quello di Olt offshore a Livorno, vale la pena di ricordare che l’impianto è a 22 chilometri dalla costa. Ma, e questo è quel che è più importante, risulta che la normativa di sicurezza sulle distanze di sicurezza da rispettare sia ancora quella dell’ordinanza della Capitaneria di Livorno n. 137 datata 19 luglio di nove anni fa: «Nel raggio di due miglia nautiche» dalle coordinate esatte del rigassificatore è vietato tutto («la navigazione, la sosta, l’ancoraggio, la pesca nonché qualsiasi altra attività di superficie o subacquea»). Perfino le motovedette delle forze dell’ordine devono «preventivamente» avvisare il terminal. Non basta: ci sono altri due gradi di protezione: quella media da due a quattro miglia, quella di primo livello fino a otto miglia. Insomma, il mare torna “normale” solo a otto miglia nautiche dall’offshore. Nel caso di Piombino, significa arrivare quasi alle spiagge di Rimigliano e, verso sud, quasi a Follonica.
Ma Olt risale a 10-15 anni fa
Per chiarire di cosa stiamo parlando: 1) il paradigma di Olt Offshore a Livorno risale allo stato della tecnologia di 10-15 anni fa ma, al tempo stesso, è il rigassificatore effettivamente esistente che più da vicino conosciamo; 2) il gas russo da rimpiazzare è nell’ordine dei 30 miliardi di metri cubi annui mentre l’impianto livornese ha una potenzialità massima di 3,75 miliardi annui (con metaniere da 65-180mila metri cubi che fanno la spola).
Secondo quanto è stato possibile ricostruire, risulta che al tavolo non vi sia ancora una discussione specifica sulle misure di sicurezza per una specifica nave con specifiche caratteristiche. Segno che non c’è ancora? No, il problema sarebbe l’accanita concorrenza di tanti altri Paesi su una flotta limitata di terminali galleggianti utilizzabili come “Fsru”, la sigla che identifica questo tipo di “unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione”. Ma forse è proprio questo che impedisce di “ritagliare” misure di sicurezza calibrate sulle specifiche ipotesi in pista per Piombino.
C’è da dire che dagli archivi emerge come all’inizio dell’estate scorsa la Gas & Heat della famiglia livornese Evangelisti abbia avviato l’attività dell’impianto realizzato a terra in Sardegna, nella zona di Oristano, per fornire all’isola il gas in arrivo tramite navi metaniere. Beninteso, si tratta di un impianto di scala del tutto differente (9mila metri cubi). Con una dinamica differente: se Olt ha dovuto affrontare un ginepraio di 44 passaggi autorizzativi anche perché faceva da apripista, nel caso di Oristano gli ok sono arrivati in un anno e mezzo. Di più: l’area tabù per motivi di sicurezza è all’interno del perimetro dello stabilimento che si estende su 20mila metri quadri. Resta il fatto che, secondo l’Ispi, l’Italia ha riserve per 10 settimane: inutile dire che entro questi limiti di tempo neanche un miracolo potrebbe assicurare l’approvvigionamento alternativo senza gas russo.
Problema ancoraggio
Il motivo per cui sembra che a Piombino vi sia una certa insistenza sulla collocazione a banchina? Ad ascoltare le argomentazioni di progettisti con lunga esperienza di operazioni nel settore, sta nel fatto che un terminale galleggiante ha bisogno di un sistema di ancoraggio tale da imporre un intervento pesante sulla nave. Per parlare del caso concreto livornese di Olt, la trasformazione della nave gasiera ha avuto tempi non brevissimi: a Natale 2007 l’acquisto per 160 milioni di euro di una nave da trasformare nel cantiere navale Drydocks World a Dubai da dove è stata varata nel febbraio di sei anni dopo.
Da aggiungere i tempi per la realizzazione della conduttura sottomarina che dovrebbe portare a terra il gas: ok, ma comunque anche dalla banchina fino allo snodo di accesso alla rete nazionale gas occorre realizzare una conduttura di alcuni chilometri. E anche per questa, partendo da zero, non bastano dieci settimane. Neanche immaginando procedure ultrasprint tipo ricostruzione del ponte Morandi: qui parliamo di gas, e il gas scalda e fa girare l’economia. Ma può esplodere: maneggiare con cura.
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