Da lì cibo e farmaci saranno trasportati attraverso il corridoio umanitario “Sud”
A metà pomeriggio, dopo 19 ore di viaggio e 1.550 chilometri di strada, la stanchezza pesa ma non è ancora un pensiero. Perché di ore, e di strada, ce ne vogliono altrettante per ritornare a casa. No, non sono superman i volontari della Protezione civile-Ana (Associazione nazionale alpini) Sezione Trieste, venuti fin qui, a Husi, in Romania, per portare aiuti alla popolazione martoriata di Mykolaiv, in Ucraina. «C’è lo spirito di servizio che ci dà forza», confida Ciro De Angelis, 51 anni, coordinatore dei volontari dell’Ana.
De Angelis è un dipendente dell’Acciaieria Arvedi, ex Ferriera. Trascorre ferie e tempo libero tra missioni ed emergenze. Avrà dormito sì e no tre ore in questo viaggio. E così gli altri sette uomini della sua squadra, che addosso non hanno il mantello da superman ma i giacconi gialloblu e il capello da alpino. Sulla via del ritorno ci si può un po’ rilassare. C’è chi messaggia su whatsapp quando la rete prende, chi sgranocchia un biscotto. Luisa Ramani, addetta stampa del Comune, distribuisce a tutti pezzi di zenzero a volontà. «È per il mal d’auto». Ci si rilassa, finalmente, perché la missione è compiuta: gli aiuti sono stati consegnati.
Riso, fagioli, tonno, piselli, farina, omogenizzati, latte condensato, sapone, detersivi. Ma anche sacchi a pelo, pannolini per bambini, stivali da gomma e i “combact jacket” che si infilano sopra i giubbotti antiproiettile. Anche questo ha chiesto la popolazione di Mykolaiv. Il Comune di Trieste ha risposto, subìto. «C’è un’amicizia che lega le due città dal 1997 grazie a un progetto europeo”, ricorda la funzionaria comunale Carlotta Cesco. E poi ci sono i 25 mila euro di medicinali che il Comune ha acquistato dalle farmacie triestine. I generi alimentari, invece, sono stati donati da Despar, Coop Alleanza 3.0, IN’s Mercato e Bosco, contattati sempre dal municipio. Milleduecento chili di materiale stipati a bordo di tre mezzi della Protezione civile: un pick up, un furgone e un camioncino.
I volontari hanno scaricato i bancali in meno di mezz’ora a Husi, cittadina nell’Est della Romania, a 30 chilometri dalla Moldavia e a 300 da Odessa, in Ucraina. Hanno depositato tutto in un hangar della “Enri Angel”, una ditta rumena che produce scarpe per l’Italia, gestita dal settantenne marchigiano Enrico Fulgenzi. L’azienda ha messo a disposizione gli spazi. I bancali saranno presi in carico dalla Help Ucraina Center, l’organizzazione che trasporta gli aiuti attraverso il corridoio umanitario “Sud” diretto a Mykolaiv e a Odessa, dove si combatte e si muore.
Le agenzie dall’Ucraina battono notizie drammatiche. Bombardamenti. Civili seviziati e uccisi. Anche bambini. L’argomento, in furgone, di tanto in tanto ritorna. La guerra è a qualche centinaio di chilometri, oltre le distese verdi delle campagne rumene punteggiate dai piccoli villaggi di case basse, tetti in lamiere, fango e trattori dell’industria sovietica. Sembra rimasto tutto a trenta, quarant’anni fa. Terre povere, terre di vecchi contadini e di cani randagi ai bordi delle strade. Terre di cicogne appollaiate sui pali della luce, con i loro nidi grandi così che i rumeni curano e modellano con le loro mani. Perché una cicogna che ritorna nel suo nido è segno di pienezza e fecondità. Insomma, speranza.
Distese sterminate di erba e alberi. Pecore, mucche smagrite e cavalli con i calessi che spuntano tra i tir. Per raggiungere Husi bisogna attraversare tutta la Romania. Dal finestrino sfilano i centri abitati di Arad, Timisoara, Fagaras, Brasov, Onesti. E ancora campagne e catapecchie lì e lì per crollare a ogni alito di vento, ma che resistono da decenni.
I tre mezzi umanitari corrono veloci lungo le stradine dei campi. C’è una tabella di viaggio da rispettare, stabilita a Trieste in tre settimane. Ci si ferma solo per sgranchire le gambe, per la toilette e per il rifornimento di carburante. Sono la capo missione del Comune Beatrice Micovilovich e il vice Fulvio Sluga, volontario della Protezione civile-Ana, a fare attenzione ai tempi. Ma organizzare la spedizione non ha significato solo decidere dove ritirare il carico, quando e come consegnarlo. C’è molto cuore in questo convoglio. È palpabile. Perché dall’Ucraina, insieme alle richieste di aiuti, arrivavano anche i racconti. «Una mia amica che abitava a Irpin’ – spiega Micovilovich, funzionaria comunale – si è trovata la casa bombardata. Non ho avuto notizie di lei per dieci giorni... viveva nascosta in un bunker senza acqua, riscaldamento, né gas».
Già, il cuore. Gli alpini della Protezione civile ci rimettono le ferie e il tempo libero per esserci. Senza di loro, spedizioni come queste non sarebbero possibili. Si sporcano le mani, rinunciando a ore e ore di sonno. «Questo è il nostro spirito». È ancora Ciro De Angelis, il coordinatore, a parlare. Mentre il collega, Lorenzo Andriani, 43 anni, riposa sul sedile posteriore del pick up, pronto per prendere il suo posto alla guida. Sul cruscotto sono sistemati i loro cappelli da alpini, con tutta la simbologia che racchiudono: il fregio, il numero di reggimento e la nappina, il tondino alla base della penna che indica il battaglione di appartenenza. «Pensa – riprende De Angelis – in un’adunata un alpino di ottant’anni, Benito Simonetti, ha riconosciuto un commilitone di leva di quando aveva diciott’anni, proprio dal cappello».
Il viaggio è autostrada, è curve, freddo, caldo. Stanchezza, silenzio. Gambe indolenzite. Mal d’auto. Risate, battute. Discorsi che si accendono e si spengono quando l’occhio si fa pesante. Ma Mauro Gerusina, pure lui volontario, pigia sull’acceleratore che è un piacere. Anche lui qui a metterci cuore, cuore e mani.