CASALGRANDE. «Dobbiamo restare competitivi sul costo dell’energia altrimenti c’è il rischio delocalizzazioni verso paesi che hanno risorse proprie e usano già la nostra tecnologia per produrre ceramiche». Il caro-energia sta facendo produrre in perdita molte aziende del distretto tra Reggio e Sassuolo: un sistema produttivo che vale oltre 5 miliardi di ricavi, con più di 20mila addetti e un export superiore all’80%, dove lavora e prospera da decenni anche Casalgrande Padadana. Un’azienda storica che porta il nome del paese dove è inserita e dove produce le piastrelle vendute in mezzo mondo, al vertice della quale c’è il presidente Franco Manfredini, secondo il quale il rincaro dell’energia e la scarsità di materia prima hanno scatenato la tempesta perfetta per il distretto della ceramica. Nel giro di un paio di mesi, infatti, le aziende del distretto sono passate dalla saturazione delle macchine all’ipotesi del blocco dei forni.
Presidente Manfredini, come state vivendo queste congiuntura aggravata ora dalla guerra in Ucraina?
«Sta succedendo qualcosa di impensabile e incredibile per il nostro distretto fino a poco tempo fa. Neanche nelle passate emergenze c’è stata una sovrapposizione così tremenda di problemi per il nostro settore. Dopo il Covid siamo stati travolti dal problema del caro energia e ora da quello delle materie prime. Per le ultime due il nostro distretto è di fatto l’epicentro di una crisi industriale. Bisogna che la situazione rientri il prima possibile».
Chi soffre di più? Le grandi o le piccole imprese ceramiche?
«Non è tanto questione di piccole o medie. Ci sono differenze ma l’energia si trasferisce su tutte le voci di costo, anche sui trasporti o gli imballaggi. Certo, i rincari di materie prime ed energia in percentuale incidono molto di più su un prodotto di basso valore commerciale. Se devo triplicare il prezzo di un prodotto di basso valore l’effetto è più sensibile. Per ora comunque sono in difficoltà sia le grandi che le piccole imprese».
Quelle grandi hanno però la possibilità di avere maggiori stoccaggi no?
«Nel nostro settore non ci sono grossi stoccaggi: abbiamo riserve di materiale per uno o massimo due mesi in media».
Cosa viene a mancare nel vostre sistema produttivo con la guerra in Ucraina?
«Al nostro settore l’Ucraina fornisce argilla di buona qualità plastica, adottata come materia prima eccellente e che fa ormai parte dei nostri prodotti. Ora cerchiamo di supplire con argille di altra provenienza ma serve tempo per implementare cave che si trovano in Germania o in Francia, per non dire in altri Paesi in cui dobbiamo ricercarla».
L’Italia e il nostro distretto sono poveri di queste argille?
«Noi ne abbiamo poche ma siamo dotati di altri ingredienti, come i quarzi che estraiamo in Sardegna o nell’alto Piemonte così come in Toscana. Ma si tratta del 30% del peso di una piastrella, che per buona parte si fa con l’argilla. L’impasto non può essere composto solo da sabbia».
Quanto è importante per Casalgrande Padana un Paese come la Russia?
«Tutto per noi è importante anche perché in quei Paesi riusciamo a valorizzare bene il concetto di prodotti Made in Italty. Per noi la Russia vale poco, circa il 3% del fatturato. Ora c’è un’interruzione drastica dei rapporti. Vantiamo poi dei crediti in quel paese che non sappiamo più che fine faranno».
Molti vostri colleghi stanno chiudendo o stanno pensando di chiudere i forni per non continuare a lavorare in perdita, mettendo i dipendenti in cassa integrazione. Se la situazione non migliora dobbiamo pensare che sarà il destino di tutto il distretto?
«Effettivamente se un’azienda deve pagare il prezzo dell’energia che c’è in quest’ultima settimana credo sia impossibile continuare a produrre. Ma se non trova il prodotto da noi il nostro cliente andrà a comprarlo in paesi come la Turchia, dove producono già con la nostra tecnologia italiana per tutto il mondo ma hanno anche il gas a prezzi migliori».
Il pericolo è di restare ai margini del mercato?
«Se questa situazione dovesse durare troppo a lungo il rischio è la delocalizzazione ai danni di un’eccellenza italiana. Per dire: adesso conviene produrre addirittura in America dove hanno il metano a un costo molto più basso del nostro. O in Medio Oriente, in Asia e senza scordarsi l’India, che sta diventando tra i nostri concorrenti più insidiosi. Non possiamo perdere terreno prezioso contro di loro».
È possibile recuperare efficienza energetica nel vostro settore?
«Noi al momento non abbiamo alternative al gas ma puntiamo da anni sull’efficienza. Pensi alla cogenerazione utilizzata nei nostri impianti. Poi si stanno affacciando altri fonti “green”, come l’idrogeno. Ma non lo facciamo noi. Posso dire che siamo pronti a provarlo ma serve la tecnologia».
Servono però tempo e grossi investimenti.
«Il nostro distretto investe già una percentuale di fatturato altissimo in ricerca e tecnologia. Ogni tot anni qui c’è una rivoluzione del prodotto dovuta soprattutto all’innovazione tecnologica che mettiamo in campo. Ma quello che accade ora non ci lascia il tempo necessario per risolvere questo problema. Certo è che dobbiamo rimanere competitivi in questo nostro territorio cercando di ottenere più attenzione verso l’industria manifatturiera, non solo quando ci sono le crisi, come fanno in Germania. Ora sono tutti pronti a dire che si doveva fare qualcosa. Ma quando si dovevano fare i rigassificatori erano tutti pronti a dire di no».
È quella la strada per restare a galla anche senza il gas russo?
«Sì perché vuol dire che possiamo comprare gas da tutto il mondo. Dovevamo averne 10 di rigassificatori ma ne abbiamo uno e mezzo. Questo, si capisce bene, non sta giocando certo a nostro favore».
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