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Come affrontare la guerra a scuola



«Ucraina, il ministro Patrizio Bianchi invita tutte le scuole a riflettere sull'articolo 11 della Costituzione: l'Italia ripudia la guerra». Questo l’avviso diramato dal ministero a tutte le scuole italiane nella mattina di venerdì scorso. Chissà quanti docenti hanno davvero raccolto l’invito. Certo, la situazione internazionale chiede ben più di un commento a un articolo che posiziona l’Italia in modo inequivocabile rispetto alla guerra, perché gli studenti stavolta chiedono spiegazioni e approfondimenti alzando la mano dal posto, o nel silenzio delle loro mascherine.

E chiedono ben più di 20 minuti di educazione civica, ben più di un compitino. Gli studenti avvertono la preoccupazione, respirano l’aria pesante, anche più di quando si parla(va) di pandemia. E in questi anni di Covid si è parlato tanto anche con lessico e termini che oggi appaiono offensivi alla luce di quanto sta accadendo a Kiev. Quanto stona la retorica della guerra quando la guerra si affaccia, purtroppo, per davvero...

Per tutto questo è difficile entrare in classe e fare lezione in giorni come questi. E solo parlare di quello che sta accadendo lo è di più. Eppure bisogna fare l’una e l’altra cosa. È necessario portare avanti la didattica e tutto quanto ciò che si consideri normalità, ora che dopo due anni pare possibile iniziare a farlo, perché dopo la Dad, le interruzioni e tutto ciò che la scuola ha sopportato, c’è bisogno di giornate senza traumi, di pomeriggi di studio e di continuità negli impegni.

«Anche in mezzo a un naufragio si deve mangiare», canta Francesco De Gregori ne Il cuoco di Salò, ed è proprio così: in condizioni eccezionali c’è chi deve garantire la normalità e la scuola, in questo, può essere un esempio non eroico, silenzioso e decisivo. Poi, certo, l’invasione russa in Ucraina pone interrogativi e preoccupa, per cui è impensabile non parlarne. La posizione di chi è in cattedra deve sempre sforzarsi di essere culturale e mai emotiva.

Anzi, la scuola si può porre a baluardo di un’onda emotiva, cercando di far vivere la realtà come tale attraverso l’educazione ai mezzi d’informazione e tramite quelle discipline che da sempre si fanno a scuola e che da sempre la costituiscono. Sono i giorni in cui la geografia si afferma sul CLIL e la storia sull’informatica, perché quando si deve andare a fondo di una questione, ecco che riemergono le discipline millenarie. Sarebbe, sarà bene ricordarsene.

La scuola può educare quindi in primo luogo alla ricerca e all’analisi delle informazioni. Come per ogni cosa, il nostro tempo anche in questo caso mette a disposizione una quantità e un disordine di informazioni che necessita di una guida per non annegare. La scuola non è e non può essere l’unica fonte di informazioni su queste tematiche, al contrario inviti a leggere, a studiare e poi a condividere, sviluppando il senso critico, mettendo in comune, educando alla ricerca.

Gli studenti oggi si informano soprattutto con breaking news e sui social, così vengono a contatto con notizie mai commentate, con virgolettati poco chiari, con video a ripetizione, soprattutto amatoriali. Un carroarmato che schiaccia un’auto, un missile che entra in un palazzo, urla e pianti, scene da videogioco che a volte sono proprio tratte dai videogiochi... È necessario spiegare che la fretta nel dare la notizia può far sbagliare, ma anche che molti video potrebbero essere falsificati o comunque utili per immergersi in una condizione emotiva non sufficiente per comprendere una situazione geopolitica complessa.

Guardare una videoripresa da una strada di Kiev non fa capire il senso profondo di ciò che accade, così come fanno tutte le narrazioni «dal campo», necessarie e toccanti, certo, ma senza la necessaria lungimiranza per riflettere sul conflitto a più ampio raggio. Si educhi alla costruzione dello scenario, alla lettura approfondita di un testo complesso, perché anche la realtà è un testo complesso. In classe si potrebbe costruire un vademecum su come affrontare, per età diverse, tutte le informazioni che ogni giorno toccano i ragazzi, magari facendo esperienza dell’ascolto di una cronaca, di un podcast, o dalla lettura di immagini e commenti scritti.

La scuola ha poi il privilegio di appoggiarsi alle discipline che la costituiscono per dare strumenti e chiavi interpretative. La geografia, Cenerentola di questi ultimi anni scolastici, ha riacquisito in questi giorni un ruolo decisivo. Ogni approfondimento ospita un giornalista e una cartina geografica che mostra la situazione in evoluzione. La scuola può passare dalla geografia come disciplina necessaria per inquadrare l’Europa orientale, le sue fragilità, i suoi confini ridisegnati da poco e le sue etnie, le sue peculiarità, le sue radici recenti, le questioni energetiche che sono coinvolte.

La storia contemporanea è utile per capire cosa è accaduto nel 1989, nel 1945, nel 1917, ma non solo. Lo studio della storia può aiutare a comprendere come la guerra scaturisca sempre dalla volontà di potenza di uno stato, o di un oligarca, e come proprio come la guerra segua sempre itinerari simili, che si tratti di Vladimir Putin, delle guerre puniche, di quelle persiane o dei conflitti mondiali del secolo scorso. Cosa sono e come nascono le rivendicazioni, quindi, cosa è e come agisce la propaganda, come si crea il casus belli, quali sono le cause profonde di ogni conflitto. Come si educa alla pace, se c’è traccia di questo nella nostra storia.

La lingua, poi, perché il linguaggio di questi giorni è particolarmente curato. È spregiudicato quello di Putin, è determinato e calibrato quello di tutti i politici coinvolti, è mediatico ed efficace quello di Volodymyr Zelensky a caccia di consensi e di appoggi in un momento decisivo per la sua nazione e forse anche per la sua stessa vita.

La letteratura, infine, per permettere anche un discorso più ampio e mostrare la bruttura della guerra. Gli autori di ogni tempo hanno denunciato quanto la guerra debba essere ripudiata, dall’Ettore di Omero che con l’armatura spaventa il figlioletto, alle guerre strazianti di Giuseppe Ungaretti e di Beppe Fenoglio, fino ai conflitti afghani che cambiano la vita del protagonista di Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda.

Ancora di più, la letteratura sia strumento per educare alla pace e all’amore. Perché questo fa, senza paura, anzi con coraggio. Vite e racconti che mostrano l’uomo infernale dedito all’accumulo e schiavo del potere e l’uomo che invece può essere felice solo se capace di amare. Ultimo frammento del narratore e poeta americano Raymond Carver sigilla questa aspirazione con parole che possono essere di ispirazione oggi per chi dovrà prendere decisioni domani.

«E hai ottenuto quello che

volevi da questa vita, nonostante tutto?

Sì.

E cos’è che volevi?

Potermi dire amato, sentirmi

amato sulla terra».

Ripartiamo dalla storia e dalla geografia per capire cosa sta accadendo, affidiamoci alla letteratura per costruire un domani migliore fatto di persone – e di potenti – capaci di amare. E quindi scegliere risoluzioni diverse da quelle tragiche che si sono sempre studiate sui libri.

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