foto da Quotidiani locali
Le straordinarie testimonianze di affetto e di stima in occasione dei suoi ottanta anni, che compirà domani, lunedì 28 febbraio, non intaccano minimamente le convinzioni di Dino Zoff sulla caducità della gloria umana, esplicitamente da lui affermate fin dal titolo del suo libro autobiografico. Certo gli fa piacere il diluvio di auguri che gli stanno piovendo addosso, ma a lui tornano sempre in mente le parole della nonna che, in friulano naturalmente, ripeteva che era «passata a Napoleone che aveva gli speroni d’oro », figuriamoci agli altri.
Nel calcio e dal calcio ha avuto tutto, Zoff non Napoleone, come giocatore, allenatore, ct delle nazionali, dirigente, presidente ma a un certo punto è stato messo da parte, ritenuto superato, ormai fuori dal mondo del pallone sempre più lontano dagli originari valori di natura romantica e di respiro etico.
Va da sé che poi diventa possibile, ripercorrendo con la memoria gli infiniti momenti importanti – lieti nella vittoria amari nella sconfitta – moltiplicare all’infinito il senso e il significato nelle rivisitazioni che se ne fanno. E non solo in ambito sportivo.
Di Zoff un po’ tutti hanno preso a sottolineare la dirittura morale ma anche la riluttanza a perdersi in parole inutili, la crosta dura di friulano un po’ chiuso e perfino misantropo, la serietà a tutta prova, singolare anche in quel calcio che era già serio di suo.
Ma a quanti lo abbiano conosciuto bene e siano stati gratificati dalla sua approvazione e amicizia, Dino ha sempre regalato ben altra personalità, lieto di potersi esprimere in brigata con le persone gradite, amante delle merende e bicchierate, propenso anche a qualche esibizione di canto corale, talora in combutta con un altro falso burbero, il grande Enzo Bearzot, per tanti versi a lui simile. Impossibile non fare almeno un cenno al legame fraterno con Scirea, con Paolo Rossi, con tanti altri uomini che hanno percorso tratti di vita assieme a lui.
Esemplare marito e padre, con la dolce e severa Anna a evitare eccessivi coinvolgimenti enoici. Amico sì sincero e piacevole, ma poco disposto ad accettare qualche commento o giudizio che gli fossero apparsi inadeguati o poco rispettosi. In più di qualche circostanza se la prese anche con me, come quando, raccontando di certe sue manfrine per guadagnar tempo in una partita con la Svezia, dissi che faceva il finto tonto. «Tonto tu saras tu» provvide subito a farmi sapere. Una volta, al termine di un’amichevole con la Croazia, a Zagabria, uscì dagli spogliatoi attendendo che passassimo Capello e io che avevamo fatto una telecronaca secondo lui troppo severa con i suoi azzurri, e ci mise in guardia perché, dovendo attraversare in macchina Mariano al rientro, rischiavamo di incappare nella rappresaglia dei suoi compaesani. Spesso poi se la prendeva con me perché accettavo che a bordo campo ci fossero dei colleghi che proprio non digeriva e non mancava di farmi qualche tiratina d’orecchie anche in altri campi, come quando si lamentò perché non gli avevo mai raccontato la squisitezza del rilanciato pignolo che lui, vivendo a Roma non aveva riscoperto, ma che io, tornato in Friuli, avrei dovuto segnarglielo, ben conoscendo la sua predilezione per i rossi.
Di Dino e della sua profonda umanità ci sarebbero tante cose da dire e apprezzare, purtroppo da ultimo non ha potuto salire in Friuli per le rituali rimpatriate. Ogni volta era una festa ritrovarsi a Mariano, nella casetta dei ricordi, allestita un po’ alla volta dal suo amico Felice, una cascata di struggenti cimeli a raccontare una vita straordinaria. Una stanzetta di incredibile suggestione in quella che era stata la dimora degli Zoff, contadini e maestri di vita ed educazione, con ricorrenti nostalgie asburgiche. Certo non bastano due parole augurali per ringraziare e omaggiare il grande Dino Zoff, ma lui sa bene quanto bene gli vogliano i friulani tutti, anche se non dimentica che i tifosi dell’Udinese non furono teneri con lui. «Mi clamàvin zuff» brontola ancora. Auguroni grande Dino, per i tuoi ottanta splendidi anni. —
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