TRIESTE «Ho un figlio di 32 anni che da un momento all’altro potrebbe essere chiamato a imbracciare un fucile. Sono devastata». Nadiya Zubyk ha voglia di raccontare, tra rabbia, incredulità e lacrime, la sua storia e quella della sua famiglia, sconvolta da una guerra fino a pochi giorni fa impensabile anche per lei. La donna ha la cittadinanza italiana da un anno, ormai abita da molto tempo in Italia, dalla fine degli anni Novanta. È a Trieste dal 2002, vent’anni: «mi sento triestina d’adozione», dice, felice della sua vita qui, raggiunta dopo tante fatiche e sofferenze. «So cos’è il vero comunismo, la dittatura, la fame. Me la ricordo bene, sia in Ucraina che nei primi anni in Italia, quando in Puglia mi sono ritrovata a mangiare mandorle dagli alberi perché non avevo altro. In Ucraina c’è ancora tanta miseria, tanta sofferenza, e quanto sta accadendo renderà la situazione ancora più complicata per la gente, che non si merita di soffrire in questo modo». Nadiya per lungo tempo ha fatto le pulizie, ma da un anno si è messa in proprio e si occupa di network marketing, con la vendita diretta di prodotti di una nota azienda del settore alimentare e del benessere. Vive con la figlia di 26 anni, che lavora in una farmacia, a Trieste, dove risiedono anche sua sorella e sua nipote, addette in una casa di riposo. «Mio figlio però è rimasto lì, non è potuto rimanere in Italia: ero riuscita a farlo arrivare a Trieste, e qui è rimasto dai 15 ai 18 anni, ha studiato, era felice. Poi però, al compimento della maggiore età è dovuto tornare in Ucraina per prestare servizio militare, come previsto dalla legge. Finita quella durissima esperienza, avrebbe voluto rientrare qui da me, ma non gli è mai stato concesso il visto per uscire dal Paese, quindi non è più tornato in Italia». Il ragazzo è padre di un bimbo di tre anni e vive a Kaluš con la famiglia, nella zona Ovest, circa 150 chilometri a sud di Leopoli, poco distante da Ivano-Frankivs’k, città natale della madre. «Non è ancora stato ufficialmente chiamato a combattere e non so cosa farà, cosa succederà, ma c’è da avere tanta paura. C’è chi fugge, chi rimane: non giudico nessuno quando si tratta di salvare la propria vita. Mio figlio è orfano di padre ed è stato emotivamente e psicologicamente molto provato dal servizio militare: addestramenti a meno 25 gradi, senza elettricità, e l’unico cibo che poteva mangiare erano delle scatolette di tonno che riusciva a mandargli mia madre. Mia madre che dopo 35 anni di lavoro ha una pensione di 2.600 grivnie al mese, poco meno di 80 euro. Non so, io voglio solo che mio figlio si salvi, come tutte le persone care e i familiari che ho in Ucraina. Sono disperata. Ora anche mia figlia, che vive qui, è spaventata: potrebbe essere chiamata anche lei a combattere per l’Ucraina, ma lei è qui al sicuro per ora, la sua vita è qui». La donna racconta ancora di avere «dei cugini che l’altro giorno sono stati svegliati dal boato di alcune esplosioni. Per ora nella zona dove vivono la situazione non è degenerata, ma - aggiunge - hanno comunque deciso di fuggire in un piccolo paese di montagna, dove rifugiarsi, trovare un luogo più sicuro dove rimanere. Nelle altre città, da quel che so e che vediamo tutti, la gente si ripara come può, an
