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Sessant'anni di seni in silicone



La prima a «indossare» questo tipo di protesi, nel marzo del 1962, fu una giovane casalinga texana. In precedenza, pur di aumentarsi il décolleté, le donne si erano fatte iniettare di tutto, con esiti disastrosi. Oggi le tecniche e materiali sono in continua evoluzione. E in futuro ci penseranno le cellule staminali delle stesse pazienti a crescere nel modo desiderato, proprio lì.


A 30 anni, Timmie Jean Lindsey, graziosa casalinga di Houston, aveva un unico problema estetico: le orecchie un po’ a sventola. Che si sarebbe tenuta per il resto della vita non avesse incontrato, nel marzo 1962, due chirurghi plastici della sua città, Frank Gerow e Thomas Cronin. Un po’ nello stile «il gatto e la volpe» i due professionisti, peraltro serissimi e dall’intuito geniale, stavano cercando 12 volontarie su cui impiantare, per la prima volta al mondo, un paio di protesi al seno in gel di silicone. «Io veramente preferirei correggermi le orecchie» rispose Timmie. «Va bene: se accetta, le diamo una sistematina gratuita anche a quelle» rilanciò Gerow.

Affare fatto (allora funzionava un po’ così, senza comitati etici o consensi informati). Al risveglio, la donna si ritrovò con una coppa C - tra la terza e la quarta taglia - al posto della sua modesta B. Pur senza eccessivi entusiasmi, si ritenne soddisfatta. Anni dopo, ammise che «per strada mi guardavano tutti...». E il nuovo profilo delle orecchie presumibilmente non c’entrava granché.

Quando, in una conferenza stampa a Washington, sempre nel 1962, Gerow e Cronin presentarono i risultati della loro sperimentazione sulla signora Lindsey e altre 11 volontarie, ebbero una sorta di standing ovation. In uno degli interventi all’epoca più rivoluzionari, erano nate le tette finte: in quelle nuove protesi in silicone, soffici, resistenti, ben accettate dal corpo e dalla consistenza perfetta, prodotte dalla Dow Corning Corporation, i chirurghi intravidero subito un business da capogiro.

Oggi Timmie Jean Lindsey, come racconta nel bellissimo saggio Materiali per la vita (Bollati Boringhieri) Devis Bellucci, ricercatore in biomateriali all’Università di Modena e Reggio Emilia, ha compiuto 90 anni e sta benone. E altrettanto in forma sono le sue protesi, che dopo 60 anni sono ancora lì, a fare bella figura nonostante la ragguardevole età della loro proprietaria.

Del resto, il desiderio di un décolleté capace di attirare gli sguardi maschili (e quelli femminili di invidia) non aveva certo aspettato il 1962. «Per ingrandirsi il seno, le donne si erano sottoposte per anni a un repertorio di orrori» ricorda Bellucci a Panorama. «Venivano inserite palle di vetro o d’avorio, poi iniziò la sciagurata saga delle iniezioni di paraffina, una miscela di idrocarburi. Ci fu anche un chirurgo che a fine 800 usò, per riempire il seno, il grasso prelevato da un tumore benigno nella schiena della stessa paziente. Ma il grasso veniva in parte riassorbito o rischiava di liquefarsi nella nuova sede».

Si provò in seguito con l’olio di silicone (ossia liquido, non in forma di gel, come nel caso di Gerow e Cronin), simile a quello utilizzato come lubrificante industriale: oggi messo al bando, nel settore della chirurgia estetica, ma allora impiegato per rimpolpare tessuti mammari e labbra (con il tipico effetto würstel).

Ci fu pure il momento delle spugne. «Ha presente quella che noi abbiamo in cucina, un lato morbido e l’altro abrasivo? La parte morbida è simile a quella che, ai tempi, si chiamava Ivalon. Per un po’ la usarono nelle protesi» racconta Bellucci. «All’inizio sembrava funzionasse, ma il tessuto mammario infiltrava la spugna per poi ritirarsi. Il risultato erano seni durissimi».

I primi prototipi in gel di silicone, 60 anni fa, spazzarono via la paccottiglia pseudoscientifica e aprirono una nuova era. Non priva di incidenti di percorso (qualche anno fa ci fu un allarme, in gran parte rientrato, sul legame tra protesi e un raro tumore linfatico), ma finalmente tutte le donne potevano, avendo soldi e sufficiente determinazione, reinventarsi una silhouette più soddisfacente di quella concessa da madre natura.

«L’impulso venne dato dalla moda del “corpo a clessidra” delle pin up girl, tipica del boom economico» riflette Rossella Ghigi, ricercatrice di Sociologia generale all’Università di Bologna, autrice del saggio Per piacere. Storia culturale della chirurgia estetica (Il Mulino). «Anche se l’Italia dovette crearsi una propria cultura pin up, un po’ diversa da quella promossa per incoraggiare le truppe americane al fronte. Doveva essere la conciliazione di sensualità e rispettabilità».

Rispettabilità a parte, se negli Stati Uniti a esibire un seno rotondo e perfetto (ossia rifatto) furono attrici e donne di spettacolo, da noi la moda venne lanciata dalla comunità di trans brasiliani che, tra gli anni Settanta e i primi Ottanta, vivacizzava la città di Firenze. «Lì c’era un bravissimo chirurgo che, sulle orme del brasiliano Ivo Pitanguy, operava i transessuali» ricorda Maurizio Priori, chirurgo plastico e presidente della Sies, Società italiana di medicina e chirurgia estetica. «Pitanguy aveva messo a punto nuove tecniche per creare un seno turgido che durasse anni, tecniche poi importate in Italia».

Dopo i transessuali, anche le donne vollero la loro parte. I primi modelli erano quasi tutti sopra le righe: inverosimili «bocce» a palla, sistemate sotto le ghiandole per ottenere più volume (ora è diverso: viene inserita una parte intramuscolare e una extramuscolare per un effetto più naturale). E dagli anni Ottanta a oggi, è stato un crescendo: quello al seno, dal terzo o quarto che era, è diventato il primo intervento estetico in assoluto.

In Italia, le protesi impiantate ogni anno sono circa 50 mila (comprese le ricostruzioni post mastectomia). Nel 38 per cento dei casi, su donne tra i 35 e i 50 anni. «Ma negli ultimi tre, quattro anni nei nostri ambulatori l’età media è scesa parecchio, siamo tra i 25 e i 35 anni» precisa Priori. Se il modello scelto non è più quello propompente della tabaccaia di Amarcord, le donne puntano comunque alla «extra large» (altrimenti perché andare sotto il bisturi?), anche quando la statura o le spalle non lo consentirebbero. Il prezzo? Dai 7 mila ai 15 mila euro (eh no, non dipende dalla taglia scelta). Richieste stravaganti non mancano. «Alcune pretendono un seno altissimo, che arriva sopra lo sterno» precisa il chirurgo plastico. «Mi dicono che “così quando metto il regisseno resta più unito”, ma chiaramente non è possibile. Altre esordiscono con “voglio un seno “naturale”, poi gli fai vedere delle protesi anatomiche che restano un po’ basse, e l’effetto naturale non le convince più. Soprattutto tra le giovani, tra social e palestra, è diventato un oggetto esibitorio». Più ragionevoli quelle dai 40 in su: non sognano un seno che guardi verso la costellazione di Orione, ma rimpiangono il corpo di una volta, dopo qualche allattamento di troppo e la forza di gravità che, oltre una certa età, si fa maleducata. Chiedono un seno armonioso e simmetrico. Oppure, magari a 60 anni, decidono di cambiare «perché il loro ce l’hanno da tanto, non va più di moda, ne vogliono un altro» racconta Priori.

Infine, c’è chi opta per una via di mezzo: non nuove protesi ma una rialzatina, per un seno un po’ meno sconsolato. In questo caso, ecco le «bretelle» elastiche in collagene (in pratica, i fili che si usano per rialzare le guance). Discrete e poco invasive, durano un paio d’anni. E poi, si vedrà.

Se il silicone in gel ha fatto la rivoluzione, il futuro del decolleté esplorerà altre strade. Una di queste è il lipofilling, ossia trasferire una certa quantità di tessuto adiposo della stessa paziente per rimodellarle il seno. Ora lo si fa più che altro nella ricostruzione post mastectomia, dove attecchisce molto bene con un effetto più naturale. Non più seno rifatto, ma «ricreato». Il che, oltretutto, suona pure assai meglio. «In prospettiva si dirà addio alle protesi in favore di questa tecnica» prevede Priori. «Oltre alle cellule adipose della paziente, si useranno anche le staminali totipotenti, capaci di diventare cellule di ogni organo. Un tessuto biologico che non si riassorbe e non dà problemi. Del resto, in un settore dove la richiesta è così alta, l’evoluzione è continua e veloce».

A Bologna è appena andato in scena il 23° Congresso nazionale di Medicina e Chirurgia estetica, della Sies, dove 400 relatori disquisiranno di tutte le magiche alchimie per ritrovare forma, gioventù e bellezza. Qualcuno di sicuro citerà nuovamente la volenterosa casalinga texana, che davvero fece da cavia (senza farsi troppe domande).

Qualche anno fa, a una giornalista americana, miss Lindsey confessò che «mi svegliai dall’anestesia e mi sembrava di avere un elefante seduto sul petto. Ma poi, quando dopo dieci giorni i medici mi tolsero le bende, il mio seno aveva un aspetto fantastico. E intorno a me c’erano tutti questi giovani dottori che stavano lì, ad ammirare il “capolavoro”».

L'era delle «bombastiche»


Il seno «finto»? Si dichiara. E si esibisce con orgoglio

di Terry Marocco

La prima volta che il silicone irrompe nelle cronache mondane è nella calda estate del 1970. La viziosa marchesa Anna Casati Stampa viene ritrovata a Roma uccisa insieme al giovane amante dall’aristocratico e perverso marito (poi suicida). Un filo bianco le cola sul petto e nessuno capisce cosa sia: è silicone. È una delle prime donne con il seno rifatto. Dopo questo evento noir, che fece parlare tutto il Paese, il mood cambiò completamente. E le cosiddette «bombastiche» assunsero una dimensione ludica, diventando negli ultimi anni una gioiosa esibizione sul web. Una galleria di immagini soprattutto su Instagram, o sulla più audace OnlyFans, sulla scia della bagnina (rifatta) più celebre del pianeta: Pamela Anderson. Tramonti e costumini risicati per mostrare le abilità del chirurgo. Donne gaudiose come la showgirl Francesca Cipriani, concorrente dell’ultimo GF Vip, con un décolleté (una settima) da urlo. Procace e provocante posta una sontuosa balconata da teatro dell’Opera, sottolineando: «Gli occhi sono lo specchio dell’anima». Proprio così. Non c’è più età, né scrupolo a dichiararlo: Gemma Galgani, storica protagonista di Uomini e Donne, a 71 anni ha deciso di rifarsele: «Ero giù di morale per le tante delusioni d’amore». E vai col bisturi. Dichiarato o presunto tale è ancora l’anima dei social e dote necessaria per fidanzarsi con una star del calcio. Tra le molte «wags», Carolina Stramare, ex Miss Italia e oggi fidanzata con il gioiello della Juventus Dušan Vlahović, le batte tutte. Non si sa se sia come natura crea, certo è bellissima. Solo Arisa resiste come mamma l’ha fatta. Forse a volte è un po’ fuori di tetta, ma sicuramente geniale nell’aver sdoganato le sue forme morbide. Per lei solo applausi, mentre rimaniamo in trepida attesa che arrivi l’estate. Stagione dove la cantante dà sempre il meglio di sé.

Voglio una quarta «spericolata»


È la misura tuttora più richiesta da chi decide di rifarsi il seno. Oggi però le donne sono molto più motivate e informate di un tempo. Su nuove forme, tecniche, materiali (ma, attenzione all’«effetto Mafalda»).

di Maddalena Bonaccorso

Altro che coppa di champagne. Le donne, quando si tratta del seno, cercano l’abbondanza. Una misura che sia almeno la terza, meglio la quarta, con una tendenza in crescita (in tutti i sensi) negli ultimi tre anni e al diavolo il canone estetico che voleva la «tetta» perfetta essere quella che, appunto, poteva essere agevolmente contenuta nel bicchiere delle grandi occasioni. Ma a parte questo piccolo dettaglio - che poi tanto piccolo non è - negli studi dei chirurghi estetici il gusto è un po’ cambiato e il percorso delle pazienti verso il rifacimento, aggiustamento, riempimento, svuotamento o rimodellamento del seno è qualcosa di molto diverso da ciò che avveniva pochi anni addietro.

Innanzitutto, dal punto di vista della consapevolezza: «Rispetto anche solo a 10 o 15 anni fa» spiega Andrea Spano, specialista in chirurgia plastica ed estetica a Milano, «le donne sono 100 volte più informate e consapevoli del percorso cui vanno incontro, conoscono le differenze tra le forme e le caratteristiche delle protesi, e ciò le rende più esigenti. Inoltre, è un dato empirico al quale però faccio sempre riferimento perché indica un cambiamento sociologico, vengono sempre più spesso alle visite da sole. Fanno l’intervento per se stesse, sanno che stanno modificando il proprio corpo, che ci saranno cicatrici, anche se piccole, e cambiamenti importanti e quindi deve essere una scelta individuale. È molto più difficile, adesso, trovare una paziente cui venga regalato l’intervento, come succedeva una volta».

Più motivate, decise e informate anche su nuovi materiali e nuove possibilità: «La ricerca nel campo delle protesi per il seno» dicea Carlo Magliocca, presidente della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica (Sicpre) «ci consente oggi di utilizzare protesi anatomiche evolute e tridimensionali, con forme, dimensioni e proiezioni diversissime a prescindere dal volume: più leggere, possono pesare anche solo 200 grammi, con involucri in silicone medicale, una “micro texturizzazione” che si integra con i tessuti del corpo, e contenuto in gel di silicone altamente coesivo. Siamo così in grado di confezionare una protesi su misura a seconda del torace e dei coni mammari, perfettamente adeguata alla corporatura delle pazienti. E questo è molto importante, perché l’eleganza di un seno è strettamente legato alla proporzione del corpo e alle condizioni di partenza».

In pratica, si consiglia sommessamente di scordarsi di arrivare a una quarta se si parte da una taglia zero o giù di lì; e questi limiti dipendono anche da un’altra parte del corpo scolpita nell’immaginario collettivo, e cioè i glutei: «Quasi tutte le pazienti che vogliono un aumento importante delle mammelle rischiano di trovarsi con misure sproporzionate» prosegue Magliocca. Come si calibra, allora, il volume perfetto di una protesi mammaria? «Posizioniamo la paziente di profilo e immaginiamo un’ipotetica linea che divida la persona in due sezioni: la proiezione del cono mammario non deve essere superiore a quella dei glutei, nessuna parte deve “sporgere” più dell’altra, se no si ottiene quello che chiamiamo “effetto Mafalda”, dal buffo personaggio inventato dal fumettista Quino: ovvero, è fortemente inelegante».

Ma oltre a tutti i discorsi su proporzione ed estetica - sicuramente fondamentali, dato che si parla di chirurgia fatta per piacersi e piacere - è doveroso affrontare anche l’argomento sicurezza: a che punto è lo stato dell’arte? «Le protesi che utilizziamo» continua Spano «sono estremamente sicure e performanti. Abbiamo gel più leggeri di prima, molto naturali anche alla manipolazione. Purtroppo non è stata ancora inventata una protesi che si possa integrare completamente con i tessuti del corpo umano».

Questo vuol dire che, anche se molto raramente - parliamo di un caso ogni 300-400 operazioni - la paziente potrà ritrovarsi con una protesi che, per effetto di quello che si chiama «incapsulamento», risulterà dura e poco naturale. Una complicazione certo, una reazione al materiale, ma non un rigetto, perché questo esiste soltanto nei confronti degli organi viventi.

Anche in questo caso, comunque, non esiste alcun rischio di poca visione o trasparenza per gli esami di controllo cui tutte le donne devono sottoporsi (come ecografia o mammografia), né per eventuali allattamenti. «L’inserimento di protesi non comporta alcun cambiamento dal punto di vista diagnostico» conclude Spano «e non dà fastidio alle future mamme desiderose di allattare, né ai neonati. Anzi, di solito gli interventi hanno un effetto positivo sulla prevenzione, perché la donna che ha fatto l’operazione è più attenta a controllare il seno. Inoltre, è bene dire che le protesi utilizzate per l’estetica sono assolutamente identiche, sia come materiali di superficie sia di contenuto, a quelle che si usano per la chirurgia ricostruttiva: cambiano la forma e le dimensioni, ma questo è del tutto ininfluente».

E qual è l’età d’oro, quella perfetta per decidere di affrontare l’operazione? Anche su queste tematiche è in corso un cambiamento, culturale e sociale ancor prima che fisico: «Oggi sono due i momenti ideali in cui una donna si può far operare al seno» risponde Magliocca. «La prima finestra è in età abbastanza giovanile, parliamo sempre di maggiorenni, una fase in cui si studia, si lavora, si tiene molto al fisico, non si pensa ancora alla famiglia e si vuole stare bene o meglio con se stesse. Poi sopraggiunge il momento sbagliato, quello in cui si sta pensando di avere bambini: periodo in cui il corpo cambia, è sottoposto a stimoli ormonali ed è bene concentrarsi su questo aspetto della vita. Infine, e questa è una tendenza più in crescita, si apre un’altra finestra: la donna, emancipata economicamente, autoconsapevole, decide di dedicarsi qualche attenzione in più dopo anni dedicati alla cura dei figli o dei compagni. Molte donne in menopausa decidono di operarsi al seno».

Un percorso che, anche dal punto di vista dello sforzo economico, non è più così impegnativo come 10 o 15 anni fa; oggi è alla portata di quasi tutte le tasche, anche perché in soccorso di chi vuole rifarsi il seno arrivano pure le finanziarie: «La forbice dei costi è molto ampia» conclude Spano «ma possiamo dire che in una città come Milano, il mercato che conosco meglio, per un intervento estetico al seno si possono spendere dai 5 mila ai 15 mila euro, con una media di 8 mila». Poco più di un bel viaggio all’estero, poco meno di un’utilitaria: se ne vale la pena, poi, si capirà solo dopo il risveglio.

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