FERRARA. Come avrebbero votato i ferraresi sul quesito per l’eutanasia legale non si saprà mai, vista la bocciatura da parte della Consulta. Certo è che la questione coinvolge e lacera anche dalle nostre parti, e centinaia di ferraresi hanno voluto rendere esplicita la loro volontà, sottoscrivendo una dichiarazione di accettazione del suicidio assistito in caso di «assenza di vita di relazione», per incidenti o malattia. Di più: c’è almeno una persona, una ferrarese residente in provincia, che assieme alla sua famiglia ha mosso il primo passo verso la Svizzera, il paese dove la “morte volontaria medicalmente assistita” è legale e che ospita anche molti italiani nel loro ultimo viaggio.
LA CORNICE
La fonte di queste informazioni è l’associazione Exit Italia, una onlus torinese che si definisce Centro di studi e documentazione sull’eutanasia, e che rappresenta il punto di riferimento a livello nazionale per chi è orientato in questa direzione. Il suo presidente e fondatore, Emilio Coveri, già indagato e assolto per istigazione al suicidio in Sicilia, tiene in effetti a precisare che «noi non “accompagniamo” nessuno all’eutanasia, semplicemente diamo informazioni a chi fa richieste che nessuno, in Italia, vuole in alcuna maniera ascoltare. Vista la bocciatura del referendum e l’incapacità di decidere dei politici, gli italiani saranno ancora costretti ad andare a morire in esilio, pagando 10mila franchi svizzeri. Parlo ogni settimana con decine di persone disperate».
Coveri afferma che tra gli oltre 5mila associati ce ne sono «264 della provincia di Ferrara»; tutti hanno sottoscritto il testamento biologico specifico dell’associazione, che appunto rende nota «la volontà di ricorrere all’eutanasia o suicidio assistito in caso non sia più possibile mantenere una vita di relazione». Un’affermazione di principio, visto che la legge 219 del 2017 che ha istituito la Disposizione anticipata di trattamento non consente questa possibilità per le persone coscienti.
IL CASO
Il fondatore di Exit Italia accetta di parlare, in termini generici, dell’unica associata ferrarese che ha imboccato la strada del suicidio assistito: «Si tratta di una signora diciamo tra i 60 e 70 anni, malata di Sla, che ha avuto luce verde per iscriversi ad una delle quattro associazioni svizzere che consentono di aiutare, nel quadro delle leggi di quel Paese, appunto i loro soci che intendono togliersi la vita. L’ultima volta che l’ho sentita non era ancora arrivata alla fase della respirazione assistita, con tracheotomia o sondino, quindi aveva ancora tempo davanti, anche se lei è determinata e la famiglia rispetta la sua volontà».
Alla donna ferrarese, come del resto anche agli altri che seguono questa strada, Coveri ricorda comunque che nelle cliniche svizzere si deve «essere in grado di compiere l’ultimo atto da sé, bevendo la pozione letale o premendo il pulsante che inietta il liquido nel sondino: queste fasi vengono peraltro videoregistrate in modo da consentire agli inquirenti di controllare com’è andata».
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