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Due anni di Covid: sofferenza, illusioni, conquiste e speranze dal “primo” caso di Coronavirus a oggi

REGGIO EMILIA. Il 21 febbraio del 2020 l’Italia ha conosciuto per la prima volta Codogno. In quel piccolo comune in provincia di Lodi, infatti, era stato identificato il “paziente zero”, un 38enne che per primo nel Paese aveva manifestato i sintomi del Covid-19. In realtà – si scoprirà solo parecchio tempo dopo – quell’uomo non è stato il primo italiano ad ammalarsi. Da quel primo “errore” sono passati due anni. Che sembrano secoli.

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In quello che ancora oggi pare un labirinto senza uscita, che ci costringe a errare, compiere giravolte, ricrederci e comunque tentare, il Sars-Cov-2 (anche il nome è stato modificato nel corso della pandemia) ha diviso il mondo e allo stesso tempo l’ha unito, ci ha fatto soffrire e sperare, mascherare ma anche rivelare. Perché ognuno di noi è entrato intimamente in contatto con le proprie paure e le proprie – altrettanto forti – credenze.

LA PRIMA ONDATA

A Wuhan, in Cina, il primo lockdown (termine inglese per indicare il più drammatico “isolamento” italiano) inizia il 23 gennaio 2020. In Emilia-Romagna e dunque a Reggio la prima chiusura scatta un mese dopo, il 24 febbraio: a deciderla è il presidente della Regione, Stefano Bonaccini. Dopo settimane passate a osservare la Cina, sorprendendoci di quelle mascherine – usanza così “orientale” – e di quegli operatori che igienizzavano le strade deserte, anche qui viene sospesa ogni forma di aggregazione pubblica e privata, anche di natura culturale, ludico e sportiva, e anche qui vengono chiuse le scuole di ogni ordine e grado. Una misura drastica che inizia a squarciare il velo: questo nuovo virus non è un “affare cinese”, riguarda anche noi. E questa consapevolezza si traduce nell’assalto ai supermercati. Di amuchina, mascherine e gel disinfettante per le mani non c’è più traccia da nessuna parte. Da Reggio i tamponi vengono inviati prima allo Spallanzani di Roma, poi nel laboratorio di Parma. Nulla a che vedere con i circa trentamila tamponi a settimana che vengono refertati oggi.

Mentre i balconi si colorano di arcobaleni e compaiono le prime scritte “Andrà tutto bene”, ovunque si cerca di far mantenere la calma. Le restrizioni, si dice in quei giorni, resteranno in vigore per una settimana soltanto. Poi però l’8 marzo scatta il primo lockdown nazionale. È la prima di una lunga serie di “delusioni”: fino al 4 maggio le date presunte di fine restrizioni si susseguiranno logorando anche gli animi più forti. Per tre mesi vengono proibiti gli spostamenti (serve l’autocertificazione necessaria per recarsi al lavoro o a fare la spesa), vengono annullati anche i funerali. La vita si ferma. E di fronte all’imposizione del coprifuoco s’inizia a parlare di libertà.

Nel frattempo ci si affeziona a nuovi tristi rituali: uno tra tutti il “bollettino” che ogni giorno riporta il numero di contagiati e morti, e ogni giorno ci rende più incapaci di riconoscere dietro le cifre (spaventose) le vite spezzate di uomini e donne. Dall’inizio della pandemia i morti per Covid in Italia sono stati 152mila, di cui 1.470 nel Reggiano. Dodici milioni e trecentomila italiani si sono ammalati, 127.822 solo nella nostra provincia (più di uno ogni quattro abitanti).

L’11 marzo 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità dichiara ufficialmente lo stato di pandemia. Il 18 marzo la colonna dei mezzi militari accompagna i morti di Bergamo nei cimiteri di altre città, le vittime in Italia sono quasi mille al giorno. Intanto a Reggio si fronteggiano focolai scoppiati in alcuni reparti ospedalieri, mentre la riconversione di strutture, posti letto e personale sanitario per fronteggiare l’emergenza Coronavirus è già realtà e tuttavia non basta: la sera del 26 marzo il direttore generale dell’Ausl Fausto Nicolini telefona al sindaco Luca Vecchi e lo avvisa che i posti letto sono finiti, «Serve l’ospedale da campo».

È il momento in cui medici, infermieri e operatori sanitari vengono chiamati “eroi” e da ogni parte arrivano donazioni agli ospedali. Ma mentre nelle case di riposo si allunga l’elenco delle vittime e nel reparto di Rianimazione si è costretti a scegliere a chi riservare le cure in quel momento più efficaci, si fa strada l’idea che il Covid colpisca solo i vecchi.

Con il 4 maggio inizia la cosiddetta “Fase 2”: mentre a livello internazionale si continuano le sperimentazioni dei vaccini iniziate in marzo, in Italia ci si riappropria lentamente della normalità. L’11 giugno prende il via la “Fase 3” (poi non le numereremo più) e a Reggio vengono messe in atto le “Prove di futuro”: durante i centri estivi si sperimentano procedure in vista del rientro a scuola di settembre (e questa strategia si rivelerà vincente). L’estate porta con sé la tanto agognata libertà e ventate di speranza, che però finiscono per generare un nuovo, drammatico, aumento di contagi.

LA SECONDA ONDATA

A metà ottobre tornano i Dpcm (altra sigla diventata familiare durante la pandemia) e si inaugura la seconda ondata: le mascherine sono obbligatorie sia all’aperto che al chiuso, niente feste, cene con al massimo sei persone, stop al calcetto e teatro e cinema a ingresso limitato (sale e teatri verranno poi chiusi dal 26 dello stesso mese). Un altro giro di vite il 3 novembre: coprifuoco su tutto il territorio nazionale dalle 22 alle 5 del mattino successivo, didattica a distanza obbligatoria nelle scuole superiori, chiusura dei centri commerciali nei fine settimana, riduzione del 50% della capienza dei mezzi pubblici. Nasce anche il sistema dei “colori”, con le tre fasce di rischio gialla, arancione e rossa da assegnare settimanalmente alle regioni in base agli indicatori di monitoraggio. Il 26 novembre l’Ausl di Reggio dichiara di essere pronta a dotarsi di un ospedale da campo per fare fronte a un eventuale peggioramento della situazione senza dovere destinare ai pazienti Covid altri reparti ospedalieri necessari per curare patologie non meno gravi.

Il 3 dicembre viene presentato un nuovo decreto: tra le misure imposte anche il divieto di spostarsi tra regioni dal 21 dicembre al 6 gennaio. Vietato uscire dal proprio comune il 25, 26 dicembre e il 1° gennaio e ristoranti aperti solo a pranzo. Divieto di uscita per Capodanno dalle 22 alle 7. Il 18 dicembre un nuovo decreto stabilisce misure ancora più stringenti, tra cui la chiusura dei ristoranti nei giorni festivi. Commercianti e ristoratori sono in ginocchio: la speranza di poter rientrare con gli incassi delle festività natalizie dalle perdite subìte a causa della pandemia sfuma del tutto. Tante le attività che chiudono per non riaprire più. Intanto nelle famiglie si organizzano cenoni in videochiamata (anche i bambini più piccoli si sono ormai abituati a vedere i nonni solo sul cellulare).

IL PRIMO VACCINO

Il mondo è terrorizzato dalla variante Alfa comparsa in Inghilterra, tuttavia il mese di dicembre porta un raggio di luce: il giorno dell’Immacolata in una casa di riposo di un paesino dell’Irlanda del Nord viene somministrato il primo vaccino Pfizer- Biontech alla novantenne Margaret Keenan. Il 27 dicembre in Europa è il “Vaccine Day”: la campagna vaccinale inizia simbolicamente con il personale sanitario. A Reggio la prima delle cento dosi a disposizione è somministrata ad Alessandro Zerbini, che ha 46 anni e per i colleghi è “l’uomo dei tamponi”. È infatti il biologo a cui si deve la svolta sui reagenti che ha reso possibile aumentare la capacità di eseguire e processare i tamponi nel laboratorio dell’Ausl reggiana.

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La campagna vaccinale vera e propria inizia in gennaio, partendo dal personale sanitario, gli anziani, i docenti, i fragili, per poi coinvolgere tutte le altre categorie. È il periodo del tiro alla fune con le case farmaceutiche, quando la consegna delle dosi sembrava dipendere da congiunzioni astrali ed era difficilissimo organizzare l’avanzamento dei lavori. In provincia di Reggio spuntano però gli hub vaccinali (il più grande è quello delle Fiere di Mancasale, che verrà chiuso il 19 ottobre 2021 con oltre 360mila dosi somministrate) e vengono reclutati i vaccinatori. Tanti i medici e gli infermieri che decidono di tornare a indossare il camice nonostante la pensione (uno di questi è Nicolini).

LA TERZA ONDATA

Il 21 febbraio Reggio e l’Emilia-Romagna tornano in “zona arancione”. È l’effetto dell’impennata dei contagi che ora riguarda i giovani, dato che gli anziani hanno risposto positivamente alla campagna vaccinale presentandosi all’appuntamento vestiti a festa e col sorriso nel cuore. I focolai scoppiano nelle classi e la nostra regione decide di far proseguire l’attività didattica delle superiori in presenza al 50% (si passerà al 70% solo il 26 aprile).

La pressione sugli ospedali è sempre più alta: nel mese di marzo a Reggio l’occupazione delle terapie intensive arriva al 95% e non sono possibili trasferimenti nei reparti di rianimazione delle altre province.

Dopo l’approvazione dei vaccini Pfizer, Moderna e Astrazeneca, l’11 marzo arriva l’ok per il monodose Johnson & Johnson. Ma mentre la campagna vaccinale entra nel vivo, scoppiano le polemiche: negli hub vaccinali le persone pretendono di scegliere quale vaccino farsi somministrare (i “preferiti” sono subito i vaccini a vettore virale, dunque J&J e Astrazeneca, poi ci sarà una drastica inversione di tendenza), e inizia a crescere lo scetticismo verso quello che da qualcuno viene considerato “vaccino sperimentale”. A complicare la situazione i casi sospetti di trombosi cerebrale registrati dopo la vaccinazione, che costano uno stop di tre giorni ad Astrazeneca (dal 15 al 18 marzo). L’11 giugno il Comitato tecnico scientifico italiano blocca Astrazeneca per gli under 60.

Finalmente i contagi iniziano a calare, ma il 13 aprile arriva il cartellino giallo anche per il monodose J&J. Dopo un breve periodo di sospensione si decide di somministrarlo solo a chi ha più di 60 anni. Le proteste dei no-vax (o boh-vax, come sono state ribattezzate le persone contrarie solo al vaccino anti-Covid) ormai non si contano più. A Reggio ne vengono organizzate diverse, ma tutte poco partecipate e comunque pacifiche. Intanto dall’Agenzia italiana del farmaco arriva l’ok alla somministrazione del vaccino anche ai ragazzi tra i 12 e i 15 anni. Mentre la vita sta tornando, ancora una volta, a quella che ormai ci siamo abituati a considerare normalità (in maggio a Reggio riaprono anche le case di riposo con la possibilità di visitare gli anziani al di fuori delle “stanze degli abbracci”), in India spunta una nuova variante: la Delta. L’estate non è un “liberi tutti” come avvenuto nel 2020, ma pensare positivo è inevitabile. Il Green pass di cui si parla da mesi diventa obbligatorio in Italia il 6 agosto, ma solo in alcune circostanze come pranzare o cenare nei ristoranti al chiuso. L’obbligo verrà esteso ai lavoratori (privati e pubblici) il 15 ottobre.

LA QUARTA ONDATA

È nel clima di rivolta scatenato dall’obbligo della certificazione verde che arriva la quarta ondata Covid. A Reggio si assiste a un lento (ma inarrestabile) aumento di contagi e ricoveri tra ottobre e dicembre, poi a un’impennata dopo le festività natalizie (le prime senza restrizioni) che terrà in scacco l’ospedale – con riduzione dell’attività ordinaria – fino al febbraio del 2022, ovvero qualche giorno fa. La colpa è anche di Omicron, la nuova variante che arriva dal Sudafrica, contagiosissima ma meno letale. Sono settimane di fuoco in cui, a causa dei numeri fuori controllo, la macchina dell’Ausl forse per la prima volta si inceppa e tanti reggiani rimangono chiusi in casa in attesa dei certificati di fine quarantena e isolamento.

Oggi, a due anni dall’inizio della pandemia, con la campagna vaccinale giunta alle terze dosi e il coinvolgimento anche dei bambini dai 5 ai 12 anni, contagi e ricoveri stanno nuovamente calando. Proprio in questi giorni l’Ausl di Reggio ha comunicato che, da oggi, il sabato e la domenica non diffonderà più il bollettino giornaliero con i decessi e i nuovi positivi. Una scelta che profuma di primavera e rinascita.

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