Il provvedimento della Direzione investigativa antimafia e della Guardia di finanza a carico di Pasquale Formicola, condannato per la vicenda dell’acquisizione della spa triestina
TRIESTE L’ ultimo atto della complessa vicenda giudiziaria della Depositi Costieri spa porta in calce i timbri della Dia, la Direzione investigativa antimafia, e del Nucleo polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Trieste.
L’atto è un provvedimento di confisca dei beni di Pasquale Formicola, il quarantaquattrenne campano condannato in primo grado a 5 anni e 4 mesi di reclusione per autoriciclaggio e frode fiscale nell’ambito delle operazioni di acquisizione societaria. Il valore di questi beni, già sequestrati a marzo dell’anno scorso, supera il milione di euro.
Il documento è stato emesso dal Tribunale di Trieste ed è in corso di notifica al diretto interessato.
Secondo quanto venuto a galla in fase di indagine sugli interessi della camorra che ruotavano attorno alla Depositi costieri, impresa specializzata nella movimentazione nello stoccaggio dei prodotti petroliferi nel punto franco oli minerali, le quote della spa erano state ottenute attraverso altre società «con modalità tali da dissimulare l’origine delittuosa del denaro», scrivono in una nota congiunta la Dia e la Guardia di finanza.
La confisca dei beni di Formicola, chiarisce ancora il comunicato, è stata formalizzata dopo una serie di udienze celebrate nel contraddittorio tra le parti. «Il Collegio è pervenuto alla conclusione del riconoscimento della pericolosità sociale del proposto con conseguente determinazione della confisca della quasi totalità dei beni a lui ricondotti, già oggetto di sequestro di prevenzione nel marzo 2021, a seguito di proposta di misura di prevenzione a firma del procuratore della Repubblica di Trieste e del Direttore della Dia».
Si tratta sostanzialmente di beni e aziende intestate a prestanome «al fine di agevolare gli interessi illeciti». Una disponibilità patrimoniale ingiustificata da «un’evidente sproporzione» tra i redditi dichiarati da Formicola e dal suo nucleo familiare. Il valore complessivo dei beni sottoposti a confisca, come detto, è superiore al milione di euro.
L’inchiesta aveva dunque appurato come il quarantaquattrenne campano reimpiegava illecitamente il denaro in attività economiche intestate a prestanome. E così, stando all’indagine, era avvenuto per l’acquisto della società triestina.
L’intero caso era scoppiato nel dicembre del 2017, dopo che la Prefettura aveva emesso un’interdittiva anti-mafia nei confronti dell’impresa. La Guardia di finanza, con le indagini coordinate dalla Procura (pm Lucia Baldovin), aveva scoperto che la società era finita nella morsa del riciclaggio: il porto di Trieste, in quella posizione così strategica aperta all’Est e all’Europa centrale, evidentemente aveva iniziato a far gola alla criminalità organizzata.
L’azienda era gravata da un debito con l’Agenzia delle dogane di circa 30 milioni di euro. Nonostante ciò era stata acquistata per 4,5 milioni di euro. Nella vicenda si erano incrociati complessi meccanismi di evasione dell’Iva con la gestione di altre società implicate nella compravendita di carburante con imprese di comodo. Il meccanismo ideato aveva consentito di non versare l’Iva per importi che nel 2017 avevano superato i 20 milioni di euro.
«L’analisi finanziaria dei conti correnti – precisava un comunicato della Procura di Trieste divulgato all’epoca delle indagini – aveva portato ad acquisire elementi per ritenere che il provento di tali reati fiscali fosse stato impiegato nell’acquisto delle quote della società Depositi Costieri».
In primo grado il processo si era concluso con la condanna, oltre che di Formicola (5 anni e 4 mesi), anche degli altri imputati implicati nella vicenda: di Renato Smimmo (6 anni) e Giuseppe Della Rocca (4 anni e 6 mesi).
Pene leggermente inferiori per Tiziana De Falco, moglie di Formicola, e ad Anna Smimmo, figlia di Renato, alle quali erano stati contestati reati fiscali.