Aurora è un “prodotto” artistico tutto nostrano uscito dalla Ballet school di Pordenone dei maestri Stefania Sandrin e Salvatore Gagliardi e oggi incontra un destino favorevole che la ripaga delle rinunce fatte per seguire la sua passione.
AVIANO. Aveva appeso le scarpette da punta al chiodo per dedicarsi unicamente alla danza contemporanea che pratica a livello professionale. Poi è arrivata “La” telefonata, quella che cambia le carte in tavola; è così che Aurora Conte, ballerina di Aviano, di 22 anni, ha fatto le valigie alla volta di una delle più esclusive compagnie di danza in Francia, il Ballet de l’Opéra National de Bordeaux. Chiamata dal direttore, Eric Quilleré, come “aggiunta” all’organico, in questi giorni sta provando il più antico titolo del repertorio classico: “La Fille mal gardée” al debutto, il 27 febbraio, in una produzione in tandem con l’Opéra National de Paris.
Un percorso tutto in salita quello della danzatrice dal volto “fiero”, fatto di impegno quotidiano, sempre sotto l’occhio attento di mamma Oksana, russa, e papà Fabio, avianese doc: «Mi hanno sempre sostenuto e insegnato a guardare diritto – ci tiene a dire Aurora – a non arrendermi percorrendo la strada che voglio».
Aurora è un “prodotto” artistico tutto nostrano uscito dalla Ballet school di Pordenone dei maestri Stefania Sandrin e Salvatore Gagliardi e oggi incontra un destino favorevole che la ripaga delle rinunce fatte per seguire la sua passione.
Aurora, i sogni son desideri... non sempre restano solo in fondo al cuore.
«L’atmosfera è quella, una magia incredibile che inizia la mattina con la classe di allenamento e prosegue poi fino a tardo pomeriggio con le prove de “La Fille mal gardée” nella versione coreografica di Frederick Ashton rimontata per noi dal ripetitore dal Royal Ballet. Un onore! Sto affrontando ritmi di lavoro veloci per essere pronta a coprire ruoli diversi, sia corali che solistici, ed è per questo che sono qui».
Una scommessa vinta quella di diventare ballerina professionista che però non è iniziata a Bordeaux.
«Avevo già superato un’audizione impegnativa per il Balletto di Roma dove ho lavorato dal 2019 al 2020. Una realtà di ricerca che si interfaccia con coreografi di diversi background come Massimiliano Volpini, una delle firme televisive dello show di Roberto Bolle. Ero subentrata a una ballerina infortunata e ho dunque danzato nel “Don Chisciotte” di Fabrizio Monteverde prendendo parte a una tournée in Italia e in Svizzera. Poi la battuta d’arresto causa Covid!
Come ha reagito a questa condizione forzata che l’ha sottratta alla danza?
«Per natura sono fin troppo critica, ma volitiva e con i piedi per terra. È stato un periodo molto difficile in cui cercavo delle soluzioni, fermarsi significa spesso cercare nel cibo qualcosa di consolatorio. Ho acquistato il libro “Ballerina Body” di Misty Copeland, la prima donna afroamericana a diventare ètoile nei 75 anni di storia dell’American Ballet Theatre di New York. Il libro va a problematizzare il rapporto con il proprio corpo trattando temi legati all’anoressia, al benessere fisico, a un nuovo modello di donna e artista. Questo mi ha dato energia e fiducia per affrontare una situazione di condizionamento sia psichica che fisica vissuta durante il “confinamento”».
Eppure durante la pandemia lei ha partecipato a un progetto tra regioni contermini, esibendosi tra Gorizia e Nova Gorica. La danza dei confini?
«Proprio così, i coreografi sloveni Nastja Bremec e Michal Rynia, hanno creato “Borderless” per indagare il tema del confine che a causa della pandemia ci faceva rivivere l’angoscia e il dramma dei conflitti bellici. È stato molto intenso ed emozionante danzare all’aperto manovrando 4 griglie metalliche come fossero recinzioni, gabbie, labirinti. Uno spazio diviso a metà come lo eravamo noi nell’esibirci su un palco diviso in due: da una parte io con i danzatori italiani e dall’altra quelli sloveni».
Spaziare nella danza contemporanea e nei linguaggi dell’avanguardia le é stato utile?
«Fondamentale direi: ho avuto la fortuna di lavorare con il coreografo di Cormòns Giovanni/Gava/Leonarduzzi, al progetto “Aganis” che parla di figure mitologiche che abitano i corsi d’acqua. Una ricerca, la sua che fonde il balletto con il contemporaneo e la break-dance. Con lui sono andata oltre i miei limiti imparando a portare nel corpo il racconto, a sentire ogni più piccola azione muscolare. Per poi rivolgermi al pubblico in uno scambio diretto e reciproco».
Parlava di circostanze e aneddoti che le sono accaduti, in che senso?
Mi è capitato di trovarmi nel posto giusto al momento giusto. Fortuna? Credo che sia proprio questo. Per necessità e testardaggine saprei mettermi in gioco in qualsiasi situazione. In un balletto ho anche fatto la parte di un uomo. Complicato certo ma la gratificazione è stata doppia!».
