Tre secoli fa il capitano inglese James Cook scopriva nuove terre, vi piantava una bandiera e le reclamava a nome del proprio re, incurante che fossero già abitate, coltivate e possedute da altri esseri umani. L’ambasciatore dell’isola di Mauritius alle Nazioni Unite, Jagdish Koonjul, ha ora deciso di imitarlo e ha piantato la bandiera del proprio paese a Peros Banhos, un atollo britannico dell’arcipelago di Chagos, del quale Mauritius rivendica la proprietà.
La sfida all’autorità del Regno Unito è senza precedenti e rischia di trovare molti imitatori nell’Oceano Indiano, nel Pacifico e negli altri luoghi conquistati in passato dall’Inghilterra con modi piuttosto sbrigativi. Koonjul ha deciso di comportarsi allo stesso modo per richiamare l’attenzione del mondo su un annoso problema che nessuno sembra voler risolvere. È sbarcato con alcuni funzionari mauriziani a Peros Banhos, insieme hanno cantato l’inno nazionale, hanno piantato nella sabbia l’asta di una bandiera e vi hanno innalzato lo stendardo rosso, blu, giallo e verde di Mauritius.
«Stiamo compiendo l'atto simbolico di alzare la bandiera, come hanno fatto tante volte gli inglesi per fondare colonie. Noi, però, reclamiamo ciò che è sempre stato nostro», ha poi detto l’ambasciatore. Subito dopo è stato fatto ascoltare un messaggio del primo ministro, Pravind Jugnauth: «Questa è la prima volta che Mauritius guida una spedizione in questa parte del suo territorio. Mi spiace di non aver potuto far parte di questa visita storica. Sono lieto che i nostri fratelli e sorelle chagossiani possano viaggiare nel loro luogo di nascita senza alcuna scorta straniera. Il messaggio che desidero trasmettere al mondo, in quanto Stato sovrano sull'arcipelago di Chagos, è che garantiremo una saggia gestione del suo territorio, sulla sicurezza marittima, la conservazione dell'ambiente marino e i diritti umani, in particolare per il ritorno degli abitanti di origine chagossiana».
La cerimonia si è conclusa con un allegro barbecue sulla spiaggia, in attesa di conoscere la reazione britannica, che per ora non c’è stata. Al Foreign Office si sta probabilmente esaminando il messaggio registrato del primo ministro, le cui ultime parole costituiscono il vero nocciolo del problema. L’arcipelago di Chagos si trova a sud delle Maldive e a nord-est di Mauritius e fa parte dal 1965 dei possedimenti britannici nell’Oceano Indiano. Le isole erano state scorporate da Mauritius dopo la dichiarazione di indipendenza dal Regno Unito. Londra se le era tenute e aveva fatto un accordo con gli Stati Uniti per dargliene in gestione una molto importante, Diego Garcia, dove oggi si trova la principale base militare americana dell’area.
Gli abitanti delle isole, alcune migliaia di persone, erano stati tutti deportati a Mauritius, scatenando una diatriba internazionale ricca di decise e indignate prese di posizione, ma povera di atti concreti. Nel 2010, la Gran Bretagna ha aggravato la situazione dichiarando territorio protetto quasi l’intero arcipelago e la relativa zona marina, con divieto di accesso e di pesca. Chi fa qualcosa a tutela dell’ambiente oggi viene sempre giustamente elogiato, ma i mauriziani pensano che la creazione della riserva marina sia solo un paravento che nasconde la volontà di impedire il ritorno dei changossiani deportati, proprio la cosa che ora il primo ministro auspica.
La Corte internazione di giustizia, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il tribunale marittimo dell’Onu hanno tutti chiesto alla Gran Bretagna di restituire le Chagos, ma il Foreign Office ha fatto finta di non sentire. Anche gli americani sono contenti che l’arcipelago resti disabitato e che nessuno disturbi le loro attività a Diego Garcia. Non c’è dunque altra soluzione che sbarcare e piantare una bandiera, come faceva Cook. Forse è un linguaggio che gli inglesi capiscono, ma da solo non basta: dietro alla loro simbolica bandiera c’erano sempre concrete navi armate di cannoni.