TRIESTE. Dal giornalino del Petrarca al giornalismo d’inchiesta dell’Ora di Palermo. Chissà se se lo immaginava Etrio Fidora, fresco di maturità nel 1948 a Trieste, che dai disegni accurati che realizzava e colorava sul foglio del liceo, di cui era “direttore irresponsabile”, sarebbe passato al giornale del pomeriggio schierato a viso aperto contro la mafia. A Palermo lo chiamavano “Etrio l’asburgico”. Ma come era finito in Sicilia il giovane che a Padova frequentava Lettere, col sogno di fare lo sceneggiatore? Per seguire il padre, dipendente della società triestina del trotto, che venne promosso direttore regionale e spedito nel capoluogo dell’isola, quando un altro triestino, Massimo Della Pergola, inventò il Totocalcio. Era il 1955 e il direttore dell’Ora, Vittorio Nisticò, incrociò Fidora in un circolo universitario dove si discuteva di cinema, ne annusò le simpatie comuniste e lo assunse per la redazione di Caltanissetta. Appena arrivato si confrontò con la tragedia, il crollo di una miniera di zolfo.
A Etrio Fidora, che dell’Ora fu giornalista politico, autore di inchieste, commentatore, infine direttore responsabile, è dedicato uno degli approfondimenti del Piccololibri in edicola sabato 12 febbraio con il quotidiano, all’interno dell’inserto di novità editoriali Tuttolibri. Pur profondamente innamorato della Sicilia e amico di intellettuali come Leonardo Sciascia, “Etrio l’asburgico” non staccò mai il cordone con la sua città, Trieste, dove tornò negli anni Duemila, chiusa la professione militante, a insegnare il mestiere alla facoltà di Scienza della comunicazione.
L’intervista di questa settimana è allo scrittore e giornalista serbo Dragan Velikić, cresciuto a Pola e già ambasciatore in Austria, una delle voci più interessanti della letteratura mitteleuropea contemporanea, che racconta al Piccololibri il collasso totale del suo paese negli ultimi tre decenni e la sua “ossessione” per Trieste. «Trieste - dice in un passaggio - era la terra promessa, la lobby dell’Europa. Alle superiori, a Pola, ho studiato letteratura italiana. Ho costruito la mia versione di Trieste, che per me è prima di tutto Svevo, ma anche Saba, Magris, Tomizza, Slataper, Bazlen, Cergoly e il suo magnifico “Il complesso dell’imperatore”». Nel suo ultimo romanzo, “Il quaderno scomparso a Vinkovci” (Keller), Velikić tocca il tema dell’esodo istriano. «Da bambino provavo empatia per gli esuli, si trovavano tracce della loro presenza ovunque nelle case di Pola. Non c’è una sola verità, inamovibile, coerente. Solo interpretazioni, ma non come puri punti di riferimento razionali, ma come esperienze emozionali, che cambiano a seconda di come si capiscono le cose».
Il paginone centrale del Piccololibri è dedicato alla mostra fotografica che, al Museo Carà di Muggia, ripercorre, fino al 6 marzo, vent’anni di Carnevale, dal 1954 al 1975. Si parte dall’anno del Memorandum di Londra e si chiude con quello del Trattato di Osimo: in mezzo la fantasmagorica sfilata dei carri, ispirati, di volta in volta, dai fatti di cronaca e dalla politica, dalle epidemie influenzali e dal rock’n’roll, dalle crisi petrolifere e dalle riforme della scuola, fino ai tanti eventi che hanno segnato le sorti del territorio.
Un altro dei ritratti ricorda la figura del grande collezionista numismatico Nicola Bottacin, che fece fortuna a Trieste come imprenditore negli anni Trenta dell’800. Nel giardino della sua villa dallo stile eclettico nell’odierna via dei Roveri (oggi b&b) coltivava rare specie botaniche e cinquanta varietà di rose. Fu la comune passione “green” a conquistargli l’amicizia di Massimiliano d’Asburgo, all’epoca impegnato nella costruzione di Miramare, che durerà fino alla fucilazione da imperatore in Messico.
Apre lo sfoglio una singolare lettera di Victor Hugo ai triestini e lo chiude l’intervista alla ballerina Aurora Conte, impegnata al Ballet dell’Opéra de Bordeaux.
