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Australian Open, festeggio il trionfo della Barty: lei e Osaka sono il riscatto del tennis femminile-

Sono contento che Ashley Barty abbia vinto l’Open d’Australia. La n.1 del mondo da più di 100 settimane ha dominato tutto il torneo di casa, senza mai perdere un set.  Avrebbe vinto più facilmente la finale con quell’altro bellissimo personaggio che è anche Danielle Collins – l’americana è stata a due punti dal vincere il secondo set –  se dopo aver vinto il primo set in una mezzoretta (6-3, in 32 minuti), non si fosse lasciata travolgere dall’emozione di sentirsi sempre più vicina al primo trionfo australiano a Melbourne.

Sono passati 44 anni dacchè vinse a Melbourne l’ultima giocatrice australiana. Si chiamava Chris O’Neil che non aveva certamente le qualità della Barty – non era neppure compresa fra le prime 100 tenniste del mondo! – ma approfittò di quei tabelloni molto modesti che l’Australian Open poteva allestire negli anni Sessanta/Settanta, quando raggiungere Melbourne era un problema, con gli aerei a corto raggio dell’epoca. Troppi top-playersi non avevano voglia di sobbarcarsi un viaggio di più settimane in nave.

A quei tempi c’era anche chi pensava seriamente che fosse il caso di togliere quello Slam di…rendita all’Australia, un torneo che era la gamba zoppa degli Slam e non aveva più un prestigio pari alla sua tradizione.

Nacque perfino  una corrente di pensiero piuttosto folta che propugnava l’ipotesi Roma quarto SlamUna federtennis italiana più attenta sul piano della politica internazionale, con vari giochi di alleanza, avrebbe potuto forse spuntarla perché davvero l’open d’Australia sembrava in crisi e senza grandi possibilità per il futuro. Ci andò più vicina di quanto si possa immaginare.

Indietro 5-1 nel secondo set Ashley Barty – curiosamente con un nome di battesimo anche maschile, quello di un grande campione del tennis aussie, Ashley Cooper, n.1 del mondo negli anni ’57 e ’58, campione di 4 Slam, morto due anni fa e al quale se non ricordo male ho fatto da raccattapalle a Firenze durante un torneo internazionale alle Cascine o nel corso di un’esibizione. Era uno dei tennisti prediletti da mio padre… – si è finalmente liberata di tutte le sue angoscie, ha rimontato e ha chiuso trionfalmente il suo percorso verso la gloria al tiebreak celebrandolo con un’esplosione di gioia incontenibile, capace di superare in diapason il ruggito della Rod Laver Arena. Mai udita a quel modo nelle precedenti occasioni, quando pure aveva colto altre grandissime affermazioni, come la vittoria al Roland Garros e quella a Wimbledon.

Vincere davanti al suo pubblico le deve avere provocato una fibrillazione indescrivibile. E con la sua abituale semplicità ha trasmesso a tutti quanti quello che sentiva. Commovente.

Commovente anche l’abbraccio con Casey Dellacqua, la sua ex compagna di doppio oggi ritirata che nel 2015 aveva appoggiato la sua scelta quando lei, sofferente di una acuta forma di depressione, aveva deciso di mollare il tennis per vivere una vita normale lontana dai campi da tennis, fra continui viaggi aerei e campi da tennis. Fino a uscire dai primi 600 posti WTA. E fu sempre Casey Dellacqua, dopo un anno di Ashley dedicato al cricket da giocatrice professionista, a persuaderla nel 2016 a tornare sui campi da tennis per non disperdere il suo straordinario talento naturale.

Forse proprio per le sue esperienze certamente diverse la Barty è una ragazza che non ha molto in comune con la maggior parte delle altre tenniste.
E’ semplice, modesta, umile, educata, per nulla montata, alla mano, certamente intelligente e con una notevole personalità.

Che ha dimostrato anche con la sua scelta di restarsene in Australia senza giocare tornei dopo la semifinale persa dalla Kenin in semifinale dell’open d’Australia 2020 per 336 giorni anziché girare per il mondo in tempi di pandemia – fino a non difendere perfino il titolo vinto al Roland Garros(mica una scelta semplice)  – e poi di fare di nuovo così dopo l’US Open rinunciando anche a recarsi in Messico per giocare le finali WTA. E’ un tipo tosto. Se pensa che sia giusto fare una cosa non si fa condizionare da mille pressioni, agenti, direttori di tornei, WTA.

Che sia una ragazza diversa da tutte lo dice anche il suo stesso tennis. E’ diversa e gioca in modo diverso da tutte le altre. Ha innato il senso tattico della varietà di schemi e di tagli, un bellissimo dritto, un rovescio che alterna a due mani e a una mano per giocare lo slice con il quale fa pochi punti diretti ma destabilizza le altre.

Sono 44 anni che una tennista australiano non vinceva lo Slam di casa, come i grandi australiani di una volta. I vincitori più recenti, Rafter, Hewitt e Stosur hanno vinto Slam fuori dai patri confini.

Ashley ha vinto questo Slam e ne vincerà altri. Lei e Naomi Osaka secondo me sono le tenniste che hanno più chances di prendere sulla racchetta l’eredità di Serena Williams in un’epoca in cui le altre giocatrici sono l’emblema dell’incostanza e della discontinuità, un giorno vincono e il giorno dopo perdono. Un tennis femminile complessivamente deludente e abbastanza in crisi, se mai mi perdonerà il nostro massimo esperto di tennis femminile AGF che pubblica la apprezzatissima rubrica del martedì. Una rubrica che secondo me nessun sito internazionale di tennis può vantare. Non fossero articoli così lunghi quelli di AGF, andrebbero sempre tradotti. Naomi e Ashley sono secondo me le principali tenniste – perdurando i problemi psicologici e un pochino anche fisici (sovrappeso?) che frenano la Sabalenka e la Muguruza – che possono riscattare il momento mediocre del tennis in gonnella.

Le due ragazze hanno a mio avviso decisamente migliori qualità tecniche rispetto alle altre incostanti top-players (intendo Swiatek, Krejcikova, Sakkari, Badosa, Kontaveit), ma Ashley è più completa di Naomi perché gioca bene, benissimo, ovunque, anche su erba e terra rossa dove invece la Osaka davvero non brilla.

In questo torneo la Barty – giunta all’undicesima vittoria consecutiva nel 2022 fra Adelaide e Melbourne – ha dominato tutte le avversarie, dal’inizio alla fine. 21 game lasciati in tutto a 6 avversarie non danno adito a dubbi al riguardo.

E’ anche vero che non ha incontrato tenniste di grandissimo spessore, nessuna top-ten. E a questo proposito va detto che in nessuno dei tre Slam vinti dalla ragazza del Queensland, a Parigi, Wimbledon e Melbourne lei ha battuto una top-ten. Eppure le top-ten c’erano: erano sette.

Se fosse accaduta la stessa cosa in 3 Slam a Matteo Berrettini forse uno Slam lo avrebbe vinto anche lui, visto che i suoi critici più agguerriti non mancano mai di sottolineare che lui un top-ten non l’ha mai battuto e le 20 vittorie che ha avuto in 24 match di Slam sono state conseguite tutte contro giocatori di non primissimo profilo. Se non avesse incontrato tre volte Djokovic e una Nadal, ma tennisti con lo stesso ranking di Tsurenko, Bronzetti, Giorgi, Anisimova, Pegula, Keys e Collins – per citare le avversarie battute in sequenza da Ashley a Melbourne – oggi saremmo probabilmente qui a celebrare con grande enfasi uno Slam (su tre possibili eh…) vinto da Berrettini. E sventolerebbero i tricolori (quelli che secondo alcuni lettori condizionano pesantemente i miei giudizi e i miei pronostici). Ci vuole, a volte, anche un pizzico di fortuna, per conquistare grandi successi.

Eh sì, consentitemi questa piccola punta polemica nei confronti di tutte quelle persone che hanno ritenuto che io sottolineassi le qualità di Matteo per amor di patria, perché accecato dai colori della nostra bandiera…

Lo scrivo qui, così ora si scatenano tutti! Per favore però, usate un minimo di rispetto nei confronti di tutti coloro che non la pensano come voi allo stesso modo. Evitate i toni arroganti che ci costringono a fare i salti mortali per moderare i vari interventi e…ultima raccomandazione (da questo pulpito!) per favore siate sintetici. Dieci righe per esprimere un concetto sono più che sufficienti.

Nel frattempo riprendo uno stralcio di quanto ha detto Adriano Panatta su Matteo Berrettini, pubblicato da Tuttosport e ripreso dalla puntualissima newsletter Slalom di Angelo Carotenuto: Io gli dico bravo, a Matteo. C’era chi si aspettava che fosse in grado di prendere Nadal, ciancicarlo e attorcigliarlo tutto, tirandone fuori uno di quei nodi marinari, tipo il nodo margherita, che ci metti giorni per imparare come si fanno. Io no. La speranza che potesse vincere c’era, e così non è stato, ma è altrettanto importante che quella aspettativa fiduciosa, nei suoi confronti, ci sia ancora, non sia venuta meno al termine di un match che nei primi due set ha fatto marcare un dislivello considerevole.  

Ho visto Berrettini riemergere, rientrare nella partita, riprendere quel metro di campo che aveva lasciato allo spagnolo, e finalmente giocarsela alla pari. Gli ha tolto un set, a Rafa. Non era facile. Niente contro Nadal può essere considerato facile. Porta in campo 35 semifinali dello Slam, 20 titoli vinti, forse salirà domani a 21, e sa esattamente che cosa fare e quando farlo Scopro che sarà da lunedì al numero sei in classifica. E che volete dirgli a uno che in tre anni ha fatto i quarti in tutti gli Slam e vi ha aggiunto le semifinali a New York e Melbourne e la finale a Wimbledon? Nutro ancora la speranza che mi raggiunga e mi superi presto. E sono certo che ce la farà”.

Data anche l’ora tarda in cui questo editoriale viene da me scritto e dai miei collaboratori, e soprattutto l’eccellente articolo di presentazione della finale Medvedev-Nadal di Tommaso Mangiapane, non mi pare di dover aggiungere altro su questo match.

So che qualcuno avrebbe piacere che io esprimessi un pronostico su questo duello. Sperando che io lo sbagli per dare adito ai soliti leoni da tastiera di sbranarmi. Come già per il match contro Berrettini non ho la certezza che Rafa Nadal sia al massimo delle sue possibilità. Per vari aspetti già ampiamente accennati nei giorni scorsi. Un Nadal all’80% delle sue possibilità attuali di trentacinquenne contro un Medvedev normale finirebbe per perdere. Soprattutto in un match che si concludesse dopo le tre ore, al quinto set. Per normale intendo il Medvedev che lo scorso anno a New York ha stoppato Novak Djokovic nella sua corsa verso il ventunesimo Slam. Daniil vorrebbe tanto godersi il privilegio di stoppare anche RafaMentre Roger Federe purtroppo sembra essersi stoppato da solo, senza aiuti esterni.

Ma ricordo anche il Medvedev di un anno fa in Australia ancora contro Djokovic quando fu dominato in modo quasi imbarazzante.

In conclusione le diverse condizioni, fisiche, psicologiche, mentali, secondo me prevarranno su quelle strettamente tecniche.

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