TRIESTE Se c’è un libro in cui prosa e poesia si amalgamano con naturalezza, questo è il “Martin Muma” di Ligio Zanini, che viene riproposto dalla casa editrice Ronzani di Vicenza (406 pagine, 19 euro), a cura del “chimico-poeta” istriano Mauro Sambi, che è docente di chimica all’università di Padova e scrittore di versi.
Scelta coraggiosa di questa piccola realtà culturale, che ha sede a Monticello Conte Otto, novemila abitanti, a dieci chilometri da Vicenza. Nel Veneto profondo, Ronzani ha avviato un lavoro di riscoperta e di presentazione al più ampio pubblico nazionale della produzione letteraria della comunità italiana oltre frontiera, cominciando con Nelida Milani, l’autrice della “Valigia di cartone”, di cui ha pubblicato la trilogia “Cronaca delle baracche”.
Martin Muma, come sottolinea Ezio Giuricin nella prefazione, è il personaggio inventato dal cartoonist Pier Lorenzo De Vita negli anni Trenta sul “Corriere dei Piccoli”, un bambino gracile, magro, etereo, indifeso che, per sottrarsi a una realtà opprimente, a un destino assurdo, a un presente grottesco, si lasciava trasportare dal vento volando leggero sopra le cose del mondo: «Vi presento Martin Muma più leggero di una piuma che a cavallo della schiuma in una notte di malaluna, forte vento e di sfortuna, arrivò senza saperlo...».
Martin Muma, perfetto alter ego dell’autore, che grazie ai suoi versi riesce ad affrontare i tormenti di una vita da uomo-contro, contro tutte le ingiustizie. Zanini, considerato il maggiore poeta istriano del Novecento per le sue poesie in dialetto istroromanzo, ha pubblicato: “Moussoli e scarciuò” (1965), “Buleistro” (1966), “Mar quito e alanbastro” (1968), “Tiera viecia-stara” (1970), “Favalando cul cucal Fileipo”, (1979), “Sul sico de la Muorto Sagonda” (1990), “Cun la prua al vento” (1993).
La prima edizione del Martin Muma appare nella rivista culturale della comunità italiana «La Battana» nel 1990, seguita dalle edizioni dell’Edit (Fiume, 1999) e de Il Ramo d’Oro (Trieste, 2008).
La prosa poetica di Zanini si gusta fin dalle prime righe dove il bambino “fragile creatura perché pensante” - scrive Zanini – “segue il detto dello zingaro: piangi con il bel tempo, perché a questo segue l’uragano; ridi con il maltempo perché domani risplenderà il sole”.
Il suo stile è inconfondibile: quel suo “narrar-parlando” così efficacie nella descrizione degli stupendi paesaggi di Rovigno e della sua gente, sottolineato da Giuliano Manacorda che, insieme a Mario Rigoni Stern e Franco Juri, arricchisce il volume tratteggiando la figura dell’autore. Un uomo che non sopporta le ingiustizie, con cui si scontra giovanissimo: l’Italia che arriva in Istria si presenta col volto peggiore, quello delle tasse, dei burocrati arroganti e ottusi come il cancelliere Esposito, battezzato “Acasamiacitengo”, con un’agra ironia, che permea le pagine di Zanini, che diventa subito antifascista.
Un idealista integro e ingenuo, coerente fino al sacrificio. Perché poi gli costerà cara la fedeltà all’internazionalismo, tradito da Tito e dal suo nazionalismo slavo. Zanini se ne accorge e, come ha fatto da ragazzo contro “testa quadrata” il nome con cui Martin Muma definisce Mussolini, non si adegua.
Sconterà tre anni all’Isola Calva, il famigerato lager titino di Goli Otok, una tragedia tenuta nascosta, che soltanto molti anni dopo la scomparsa del Maresciallo e la dissoluzione della sua creatura, la Jugoslavia, viene finalmente raccontata dai superstiti, pochi, e dai loro famigliari. Mogli, mariti, figli degli internati ai quali è stata rovinata l’esistenza, come alla moglie e alla figlia di Zanini. Che, vincolato al silenzio, esce dal penitenziario nel 1952 e sopravvive facendo il magazziniere al cantiere navale polese “Stella rossa” e dal ’56 il contabile in un’impresa commerciale. Nel ’59 può fare il mestiere per il quale ha studiato, il maestro, con l’incarico di riaprire la scuola italiana di Salvore, chiusa nel ’53. Vi rimane per cinque anni e fonda il locale Circolo Italiano di Cultura. Ma dà fastidio e viene costretto di nuovo a un impiego da contabile a Rovigno. Infine ritorna a insegnare a Valle d’Istria, riprende a studiare e consegue la laurea in Pedagogia a Pola nel 1979. Negli ultimi anni si ritira aggrappato alla “grota che l’ha visto nascere”, che non ha mai voluto lasciare come tantissimi suoi connazionali, dedicandosi alle sue due passioni: la pesca con l’amo e la poesia. Muore a Pola nel 1993, a 76 anni.