MAONZAMBANO. I semi, i frutti carbonizzati e i pollini raccontano molte cose degli uomini che abitavano la Tosina, lo straordinario villaggio neolitico di 6mila anni fa venuto alla luce casualmente ed indagato con campagne di scavo archeologico. La scoperta fatta dagli archeobotanici è che quei primi uomini, incapaci di coltivare in senso stretto, cercavano di moltiplicare le piante usando il criterio della biodiversità. La migliore strategia, che gli abitanti della Tosina attuavano era di far crescere diverse specie di cereali e legumi.
«Poiché ognuna aveva un ciclo un po’ diverso, attitudini diverse, e necessitava di attenzioni diverse, era così possibile avere sempre un buon raccolto, anche quando le stagioni non erano favorevoli» spiega Mauro Rottoli, docente e archeobotanico che ha studiato la Tosina. L’inverno era stato precoce, le gelate tardive, la primavera siccitosa, gli insetti le muffe avevano attaccato le piante?Si poteva lo stesso sopravvivere perché, se un tipo di cereale aveva sofferto, un altro tipo poteva averne tratto vantaggio. Lottando contro le rese basse e la difficile conservazione delle derrate.
Ecco perciò che alla Tosina si coltivavano l’orzo, il farro, il farricello (una forma più arcaica di farro), il timopheevii, un altro strano frumento simile al farro, e pure il grano duro e probabilmente il grano tenero. Si coltivano anche delle leguminose, in particolare il pisello e la lenticchia e forse la fava. Si raccoglievano molti frutti spontanei, soprattutto le nocciole, ma anche mele e pere selvatiche, more, corniole, ghiande, susine selvatiche. E anche l’uva selvatica, che cresceva sulle sponde dei corsi d’acqua. «Non crediamo che riuscissero a fare già il vino, ma è non si esclude che conoscessero già la pratica della fermentazione e che da qualche altra specie potessero ottenere una bevanda inebriante» dice Rottoli.
Alla Tosina coltivavano il lino, con maggiore cura rispetto agli altri villaggi. Il sito, in prossimità di corsi d’acqua e piccoli laghi, favoriva la produzione della fibra che necessita di vasche d’acqua ferma per la macerazione.
«Ancor più piccoli dei semi, frutti e frammenti di legno carbonizzati, ci sono i pollini, che ci permettono di conoscere altri aspetti dell’ambiente intorno al sito della Tosina» spiega l’archeobotanico. Combinando le analisi dei pollini con i semi i frutti e i carboni, che vengono definiti macroresti, si può ricostruire la storia dell’ambiente intorno alla Tosina. Si è passati da un bosco di pini a una foresta fitta ed intricata di querce, aceri, frassini, alternati a ontani, salici e olmi, nelle aree più umide. Quando è arrivato l’uomo, ha cominciato a bruciare e tagliare gli alberi per costruire il villaggio e aprire campi e pascoli. La foresta è arretrata. «La trasformazione dell’ambiente è stata lenta e non devastante ricreando un equilibrio fra uomo e natura».
