Chi ha eletto più volte il Presidente della Repubblica?
Tra coloro che anche oggi risponderanno alla “chiama” ci sono tanti veterani. Il record di votazioni per l’elezione di un presidente della Repubblica spetta al grande elettore Giorgio Napolitano: l’ex presidente ha già votato 7 volte, la prima nel 1955 quando al Quirinale fu eletto Giovanni Gronchi. Tra gli immancabili c’è anche Pier Ferdinando Casini: l’ex presidente di Palazzo Madama, tra i papabili nel toto Quirinale, è alla sua decima legislatura: entrato per la prima volta alla Camera nel 1983 ha partecipato a sei votazioni e lunedì parteciperà alla settima: ha visto l’elezione di Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano (per due volte) e Mattarella. Mancherà, invece, dopo 37 anni, sei elezioni e cinque presidenti, Carlo Giovanardi. L’ex senatore, una vita alla Dc poi uomo del centrodestra, c’era con Francesco Cossiga nel 1985 come delegato regionale e c’era come parlamentare anche nel 2015 quando venne eletto Mattarella. In mezzo una storia politica da alleato di Berlusconi, uomo di centro, ministro per i rapporti con il parlamento e vicepresidente della Camera. Personaggio certamente divisivo, ma lui c’era sempre.
Giovanardi, quanto le dispiace non essere a Roma in queste ore?
«L’appuntamento per l’elezione di un un Presidente è sempre indimenticabile, ma oggi c’è poco di quello che c’era una volta».
A cosa si riferisce?
«Sono entrato e vissuto in un Parlamento dove il ruolo era importante. Purtroppo dico che in questa legislatura, con Conte al governo, il parlamento è stato svuotato dal suo operato, composto da centinaia di persone digiune da ogni esperienza politica. Anche per questo andrebbe fatta una riflessione sulla nuova legge elettorale».
La faccia.
«Non è possibile che diversamente dal resto d’Europa, dopo la caduta dei partiti dei primi anni Novanta, il sistema democratico della raccolta dei voti sia sconnesso con il mondo poiché il Paese è a tutti gli effetti governato da altri: Berlusconi, Prodi, Dini, Ciampi, Monti, Renzi, Draghi sono tutti arrivati a guidare il governo senza passare dal Parlamento. Con Conte, poi, siamo arrivati ad avere un avvocato di periferia. Ciò che accade in questi giorni è frutto di questo decrescita. I partiti, Pd a parte, non esistono più».
Cosa accadrà?
«Un Parlamento frazionato al punto che la transumanza di voti può essere imprevedibile come non mai».
È per questo che Berlusconi si è fatto da parte?
«L’ho sentito nei giorni scorsi e gli ho dato un consiglio da amico: se doveva affrontare il segreto dell’urna senza un ampio consenso, meglio non essere della partita. Ma certamente non aveva bisogno che glielo dicessi, si è visto che cosa è riuscito a fare negli ultimi venti giorni».
Si è parlato molto di lui.
«Non solo: a 85 anni è riuscito ad essere protagonista, un geniale politico che ora dà anche le carte».
Ora cosa succederà?
«Difficile fare pronostici. Certamente chi pensa di essere eletto in quarta votazione con il 55 per cento dei voti fa un azzardo gigantesco. Come fu al tempo di Forlani».
Ripercorra un po’ di storia, lei che di presidenti ne ha votati sei.
«Sei elezioni ma cinque presidenti, poiché Napolitano fece il bis».
Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella: metta in fila i ricordi.
«Come consigliere regionale andai ad eleggere il capo dello stato nel 1985: quella di Cossiga fu una elezione lampo, tutto si risolse molto velocemente. Proprio su quella elezione qualche tempo fa Mastella raccontò come andò quella che si chiamava “elezione primaria” all’interno della Dc: per rafforzare l’accordo di De Mita con gli altri partiti venne detto che Cossiga aveva ottenuto consensi tra di noi con una percentuale superiore al 90. Ma pare che il numero reale fosse infinitamente inferiore. L’invenzione dei catafalchi per impedire di controllare il voto e renderlo veramente segreto avevano un fondamento. La volta successiva fu più complessa».
L’elezione avvenne pochi giorni dopo la strage di Capaci.
«Politicamente si veniva da lunghe trattative. C’erano in campo Andreotti e Forlani. Proprio a Forlani mancarono pochi voti che sulla carta aveva, ma vennero a mancare dei consensi da parte dei socialisti. Poi emersero Spadolini e Scalfaro. È brutto da dire ma fu Capaci a dare una svolta a quella elezione. Fu uno choc».
Poi Ciampi, Napolitano e Mattarella.
«Furono elezioni largamente condivise, senza nessun stravolgimento politico».
Cosa ricorda di ognuno di loro?
«Una cosa li accomuna tutti in questi quasi 40 anni: la grande forza con cui hanno interpretato il ruolo e il grande esempio alla vita politica italiana. A posteriori dico che tutti hanno lasciato un segno chiaro e significativo».
Ma davvero non si sbilancia per il dopo-Mattarella?
«Io penso Draghi. Ma ho l’impressione che tutto si possa impantanare».
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