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Tutte le bufale sul gas

Davvero l’Europa è così a corto di metano? Col paradosso che l’Unione si lamenta, ma svuota le sue scorte per rifornire l’Ucraina.

«E' il mercato bellezza! E tu non ci puoi far niente. Niente!». Così un redivivo Humphrey Bogart dovrebbe apostrofare gli europei, attoniti davanti all’insostenibile impennata dei prezzi del gas naturale e della bolletta elettrica. Perché se è facile attribuire la responsabilità dei rincari ai russi e convincere un disperato imprenditore italiano che il costo della sua energia è aumentato del 250 per cento per colpa di Putin, in realtà l’Europa dovrebbe fare autocritica e ammettere che oggi sta pagando il conto dopo una serie di scelte compiute negli anni scorsi.

Mettiamo in fila un po’ di fatti. L’Europa consuma più o meno 400 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno. Questo metano ha vari utilizzi, il più importante dei quali è produrre energia elettrica. E qui ci scontriamo con un primo paradosso, perché se da un lato l’Unione europea vuole smettere di usare fonti fossili, come gas e carbone, e sostituirle con le rinnovabili, dall’altro in questa fase di transizione ha un grande bisogno proprio del metano: stiamo chiudendo le centrali a carbone, la Germania spegne gli impianti nucleari, le rinnovabili sono ben lontane da coprire il 100 per cento dei consumi e così le centrali a gas diventano fondamentali per garantire la produzione di elettricità quando mancano sole e vento.

Circa un quinto dell’energia consumata in Europa è prodotta con il metano. Solo in Italia sono in pista 48 progetti di nuove centrali a gas. E la Commissione europea propone di considerare il gas, a certe condizioni, una fonte da sostenere con sussidi, come se fosse verde, anche se emette CO2.

Ma da dove arriva il gas di cui ha tanto bisogno l’Europa? Oltre il 40 per cento delle importazioni viene dalla Russia, un terzo dalla Norvegia, il 10 per cento dall’Algeria, seguono il Qatar e di recente gli Usa. Questi ultimi due riforniscono di gas liquefatto, trasportato via nave. Poiché l’Europa estrae sempre meno gas (i giacimenti a nord in Regno Unito e Paesi Bassi sono in esaurimento), cresce la dipendenza dalle importazioni.

In particolare dalla Russia e cioè dalla Gazprom, il colosso pubblico che gestisce la produzione e il trasporto del gas russo. Guidata da un gruppo di manager strettamente legati a Putin, Gazprom detiene le più grandi riserve di gas naturale del mondo, il 16 per cento del totale, ed è il maggior produttore di metano a livello globale con una quota del 12 per cento. Gazprom vende più della metà del suo gas ai consumatori russi ed esporta in una trentina di Paesi.

Nel corso del 2020, il gruppo russo ha venduto 219 miliardi di metri cubi di gas ai Paesi al di fuori dell’ex Unione sovietica. Di quei 219 miliardi di metri cubi, ben 174 miliardi sono stati ceduti all’Europa occidentale mentre appena 5 miliardi sono andati in Cina. È evidente che l’Europa è un cliente fondamentale per i russi, garantisce il 70 per cento circa dei profitti di Gazprom e contribuisce a sostenere il bilancio di Mosca, irritando gli americani. Gazprom rifornisce l’Europa occidentale attraverso un complesso sistema di tubi: i gasdotti che attraversano l’Ucraina (battezzati Fratellanza, Soyuz e Progresso) e che sboccano in Ungheria e Slovacchia, con una capacità di oltre 80 miliardi di metri cubi di gas; il Nord Stream, un gasdotto che va dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico e ha una capacità di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno; infine, il Yamal-Europe, realizzato tra il 1994 e il 2006, con una capacità di 32,9 miliardi di metri cubi: attraversa la Bielorussia, la Polonia e arriva in Germania.

Che cosa ha provocato la crisi che investito il mercato europeo del gas? Alcuni in Occidente hanno puntato il dito contro Gazprom, che ha ridotto le consegne in Europa, e hanno accusato Putin di voler così fare pressione sui governi europei per non essere disturbato mentre minaccia l’Ucraina e per accelerare l’approvazione in Germania del nuovo gasdotto Nord Stream 2, appena ultimato, costato ai russi e ai partner tedeschi 11 miliardi di euro.

In effetti negli ultimi anni Gazprom aveva offerto gas aggiuntivo agli europei attraverso vendite spot, nell’ordine dei 20 miliardi di metri cubi annui, mentre ora lo sta facendo molto meno, più o meno sui 7 miliardi. Un calo che potrebbe avere ragioni tecniche, non politiche: quest’inverno la Russia ha registrato un consumo anomalo di gas dovuto a temperature più fredde del normale. E in seguito alla pandemia, alcuni impianti di produzione sono stati costretti a ridurre il flusso di metano sui gasdotti di Yamal. Di conseguenza Gazprom non ha potuto offrire gas aggiuntivo agli europei.

Ad accrescere il nervosismo sui mercati è stato poi il blocco del flusso di gas dal gasdotto Yamal-Europe, con le conseguenze accuse a Gazprom di voler strangolare i clienti occidentali. La compagnia si è difesa ribadendo di aver consegnato tutto il metano richiesto (come confermato in effetti dalle aziende europee) e di non aver ricevuto richieste aggiuntive. I russi hanno anche fatto notare che il metano su quell’importante gasdotto ha iniziato ad andare in senso opposto, verso est. Lo stesso Putin ha dichiarato che sono stati gli europei a rivendere il gas all’Ucraina, che da anni non compra più metano direttamente dalla Russia. Il che rivela un altro paradosso: l’Europa sostiene di non avere abbastanza gas, ma poi svuota i suoi serbatoi per vendere il metano all’Ucraina. E questo è possibile, perché la mancanza di gas è molto meno grave di quello che appaia: sui 400 miliardi di metri cubi di gas consumati dall’Europa all’anno mancherebbero all’appello non più di 15-20 miliardi di metri cubi. Un buco non gigantesco, e infatti nessun operatore europeo ha dichiarato lo stato di emergenza, ma sufficiente a tenere su i prezzi. Prezzi che, in un mercato del gas diventato ormai globale, sono condizionati da quanto avviene in tutto il mondo. Nel corso del 2021 in Asia c’è stata una forte domanda di metano in seguito alla rapida ripresa economica.

Questo ha provocato un aumento dei prezzi, ma ha anche dirottato nei serbatoi cinesi molto gas liquefatto che sarebbe dovuto finire in quelli europei. I siti di stoccaggio in Europa sono infatti meno pieni del solito. In una situazione già così complicata si aggiunge la crisi dell’Ucraina, la quale non solo teme un’invasione, ma ha anche paura che il nuovo gasdotto Nord Stream 2, che porterà 55 miliardi di metri cubi in più dalla Russia alla Germania, la tagli fuori dal transito del metano e le faccia perdere i 2 miliardi di dollari di pedaggio che incassa. Timore più che fondato: a Gazprom non conviene che le sue infrastrutture attraversino Stati che essa considera ostili e da cui dipende la manutenzione degli impianti. E anche per i clienti, tutto sommato, poter contare su un nuovo gasdotto che arriva dalla Russia è un vantaggio.

Quindi l’Europa strepita ma poi si lega mani e piedi ai russi, non investe in nuova produzione di gas (anche l’Italia nel suo piccolo potrebbe estrarne di più), e raccoglie i frutti avvelenati della liberalizzazione avviata anni fa: il graduale passaggio a prezzi basati sugli scambi in tempo reale, invece di quelli fissati nei contratti a lungo termine, ha fatto risparmiare circa 70 miliardi di dollari agli europei negli ultimi dieci anni.

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