Nella partita dei furbi c’è sempre un retro-pensiero che porta a dubitare dei comportamenti, perfino i più specchiati. Noi «Italians» siamo fatti così. Dev’esserci per forza dietro, o sotto le apparenze, qualche meschina finalità. Nel caso di Sergio Mattarella, la voglia inconfessabile di farsi pregare in ginocchio come già accadde con il suo predecessore Giorgio Napolitano, il quale aveva le valigie pronte ma poi si lasciò convincere al «bis». Il ragionamento che spopola nella base parlamentare, del centrosinistra ma con un seguito crescente a destra, fa leva proprio sulla doppiezza irriducibile dell’animo umano cui il presidente della Repubblica non farebbe eccezione - e come potrebbe? - per cui «adesso dice così ma poi vedrete che cambierà idea, magari dopo un appello congiunto di tutti i leader, per scongiurare all’Italia guai peggiori».
Questo è il passaparola che accomuna i «peones» di ogni genere e specie, mentre affilano i coltelli per pugnalare Draghi nel voto segreto, casomai SuperMario provasse a traslocare da Palazzo Chigi al Quirinale. Nessuno di questi grandi elettori si preoccupa dei contraccolpi, anche internazionali, che il loro gesto comporterebbe perché contano appunto su Mattarella, sul suo largo paracadute istituzionale, sul suo comprovato senso di responsabilità cui alla fine non potrebbe sottrarsi. Sperano in buona sostanza nella sua indiretta complicità. Sennonché Mattarella non ha alcuna intenzione di prestarsi alle manovre anti-Draghi. Contro di lui, bisogna aggiungere, come contro qualunque altro possibile concorrente nella corsa al Quirinale.
Se qualcuno provasse a orchestrare un festival di «franchi tiratori» nella convinzione che, una volta impallinato il premier, l’attuale presidente accetterebbe di rimanere felicemente al suo posto, quel qualcuno rischia di sbattere contro un muro facendosi male e facendone soprattutto al Paese. Agli eventuali congiurati Mattarella manda a dire: «Non contate su di me». Proprio ieri, al moltiplicarsi delle voci sui nuovi passi che si vorrebbero compiere per convincerlo a un “bis”, Mattarella ha ripetuto per la quattordicesima volta consecutiva che non se ne parla nemmeno. La tecnica è quella ormai nota: ricordare che tra poco ci sarà un «nuovo» presidente. «Vi rivolgo gli auguri più intensi per l’attività che svolgerete con lui», s’è congedato dal plenum del Csm riunito a Palazzo dei Marescialli.
Non c’è il minimo indizio che lasci immaginare un ripensamento. Oltre alle ragioni note, di natura costituzionale, pare si sia aggiunta negli ultimi giorni una considerazione che dovrebbe far riflettere tutti gli apprendisti stregoni: Mattarella non intende fare da parafulmine di un sistema allo sbando. La sua generosità, che è fuori discussione, incontra un limite nell’amor proprio e nel rifiuto di farsi crocifiggere poi per redimere i peccati della nostra politica. La privacy del presidente va rispettata, ma dal pochissimo che ne filtra le sensazioni sono univoche: una fase di grande impegno si è appena conclusa nel migliore dei modi, proseguire oltre comporterebbe un sacrificio pesante per Mattarella e per le persone a lui più care. Anche questa considerazione pesa nel rifiuto del presidente. Ignazio La Russa ieri mattina confidava: «Ha già cominciato a fare il trasloco, così mi risulta, e fa bene perché testimonia un certo modo di intendere il suo ruolo».
Ma il segnale più inconfutabile sulle sue vere intenzioni l’hanno dato i leader dei vari partiti. Nessuno di loro, a quanto risulta da fonti bene al corrente, è ancora salito sul Colle per chiedere a Mattarella: «Ripensaci, accetta una proroga del mandato finché te la sentirai, magari un paio d’anni e non di più». Non gliel’hanno proposto, nonostante il pressing dei rispettivi parlamentari, perché dai canali riservati sanno già quale sarebbe la risposta: un «no» su tutta la linea. Idem se, con un blitz, si presentassero insieme: il «no» resterebbe comunque «no». E perfino se i parlamentari cominciassero a votarlo di testa loro, senza curarsi dei capi-partito, l’uomo troverebbe il modo (e la forza) di impedire che lo eleggano a sua insaputa.