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Narco Livorno



Inchieste, arresti e, dalle intercettazioni, un quadro desolante: il porto toscano è ormai un centro italiano per lo spaccio della cocaina. Dove dominano ’ndrangheta e altre mafie.


Livorno porto della droga. Livorno nelle mire della ’ndrangheta. Fabio Molè, esponente di spicco dell’omonima cosca della Piana di Gioia Tauro, se l’è lasciato sfuggire al telefono. Non è riuscito a recuperare un ultimo carico di cocaina, e si lamenta con il suo compare: «Comunque qualche cosa di soldi ce li danno lo stesso, certo non tutto, ma noi abbiamo rischiato, ce li devono dare se no... Se no entro dentro casa e gli taglio il cuore».

È il novembre 2019, da qui arrivano alle orecchie degli inquirenti le prime conferme per la maxi-operazione coordinata dalle Direzione distrettuali antimafia di Reggio Calabria, Milano e Firenze che il 16 novembre 2021 porterà a 104 misure cautelari (tre a Livorno), alla confisca di una tonnellata di cocaina e al sequestro preventivo di aziende, beni immobili, terreni e conti bancari.

Il pregiudicato Molè (nel marzo 2019 fu trovato in possesso di mezza tonnellata di cocaina) lo scalo di Livorno lo conosce bene: intercettato, parla di mezzo milione di euro con cui deve pagare le numerose persone coinvolte nel narcotraffico. Ovvero dei manovali livornesi che, impiegati presso una cooperativa sociale che opera nello scalo marittimo, sono in grado di superare i controlli e recuperare per lui la polvere bianca, nascosta tra crostacei surgelati di un container sudamericano.

Come emerso dalle indagini, il porto toscano è da lungo tempo un centro di smistamento e spaccio di cocaina al pari di Gioia Tauro. «Ce n’è quattro (di calabresi, ndr) a dormire a casa mia, ormai non si può più uscire, siamo legati con loro... siamo affiliati» si legge in un’altra intercettazione.

A parlare è Massimo Antonini: uno dei tre portuali arrestati nella recentissima operazione, che secondo gli inquirenti si occupava anche di trovare appartamenti «sicuri» per le trasferte dei mafiosi. «Oh, c’è da portare fuori 17 borse! Si guadagna!» era il tono usato dal livornese. E aveva ragione.

Secondo Giuseppe Creazzo, procuratore della Repubblica di Firenze, la darsena toscana «è, insieme a Vado Ligure e Genova, uno dei porti italiani cui la ’ndrangheta si è maggiormente appoggiata, dopo il numero eccessivo di sequestri di stupefacenti avvenuti a Gioia Tauro e la pressione delle forze dell’ordine cui era sottoposto il porto calabrese negli ultimi anni. Livorno appariva ai loro occhi scarsamente attenzionato dalle indagini. E anche qui, come in Calabria, si sono scoperte importanti connivenze con uomini che lavoravano dentro la struttura portuale, capaci di recuperare i carichi nelle zone off limits e consegnarli in mano ai broker che gestiscono lo spaccio».

Le attività di osservazione e le indagini erano partite per l’eccessiva presenza di esponenti calabresi in città. «Da tempo avevamo notato che a Livorno avevano iniziato a convergere i principali gruppi di acquisto criminali, con noti broker della cocaina pronti a ricevere e redistribuire le parti a ciascuna organizzazione che aveva temporaneamente fatto base in città» prosegue Creazzo.
Insomma, le ’ndrine avrebbero voluto replicare a Livorno un sistema gemello del terminal di Gioia Tauro.

Il primo allarme risale al marzo 2019, quando un container di crostacei desta sospetti per l’insolito interesse intorno a esso da parte di operatori locali del porto: pur essendo in un’area di stoccaggio off-limits, protetta da telecamere e dal controllo degli accessi, il via vai si fa presto notare dagli inquirenti. Che il 7 e l’8 novembre 2019 sequestrano prima 164 panetti di cocaina contrassegnati col marchio «H», poi altri 266 nascosti in un contanier che trasportava legname, per un totale di 430 chili di stupefacenti, che sul mercato valgono oltre 15 milioni di euro. La firma è dei calabresi, ma ancora mancano i nomi dei basisti livornesi, che verranno scoperti appunto solo a metà novembre 2021.

Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Antonino Caponnetto, inquadra il contesto: «Storicamente lo scalo di Livorno ha una collocazione geografica molto buona per questi traffici, trovandosi di fronte alla Corsica e non lontano dalla Francia e Marsiglia in particolare, in asse sia con la Liguria sia con Civitavecchia, Napoli e Gioia Tauro. Questo l’ha portato a essere uno dei porti scelti per i traffici illegali a livello internazionale. Attenzione, non si tratta solo di droga, ma anche di armi e rifiuti. Quando si è lungo una rotta criminale - e la criminalità organizzata non ha mai un solo business - il porto viene scelto per tutti i suoi traffici».

Le mafie in Toscana, infatti, non movimentano solo stupefacenti, si occupano di contrabbando di merci rubate e clonate, lavaggio del denaro sporco ed estorsioni agli esercizi commerciali. Con Livorno quale approdo privilegiato. «In genere queste attività sono molto mimetizzate, così da non attirare l’attenzione. Il riciclaggio, per esempio, punta sui settori classici: l’industria del turismo in primis, e poi i subappalti delle imprese» aggiunge Calleri. Dunque, la criminalità dilaga su questo territorio: «Sì, ma non solo ’ndrangheta. Ci sono gruppi narcos, camorra, clan siciliani. E, si badi, ciascuno ha i suoi affiliati, perché la criminalità organizzata non è un monolite e tra loro, anche quando collaborano, non hanno ragione di fidarsi».

Secondo le statistiche elaborate dell’Autorità portuale del Mar Tirreno Settentrionale, nel primo semestre del 2021 lo scalo labronico ha visto un traffico complessivo di 15,5 milioni di tonnellate di merci. Dunque, che qui si concentrino anche attività illegali, come banalmente lo stoccaggio e smistamento di prodotti contraffatti provenienti dalla Cina (come le 71 Vespa elettriche sequestrate giusto lo scorso settembre), non può destare troppo clamore.

Semmai, a preoccupare è l’ultimo report della Direzione investigativa antimafia (Dia) che, parlando proprio dell’area portuale di Livorno, dipinge la città sempre più al centro del traffico transatlantico di stupefacenti. Se in Toscana si registra oltre il 5% delle operazioni antidroga svolte sul territorio nazionale, il 77% circa di sequestri regionali è avvenuto proprio a Livorno, che detiene anche il record del sequestro quantitativamente più rilevante: 650 chili di cocaina.

Numeri inquietanti, che indicano la crescita costante nel tempo dei fenomeni malavitosi e il fatto che le cosche possono contare qui su connivenze sedimentate. Lo dimostrano altre clamorose operazioni del recente passato: per esempio, quella congiunta Carabinieri-Guardia di finanza denominata Akuarius 2, continuazione della prima Akuarius che nel marzo 2017 consentì di individuare e arrestare 10 membri di una organizzazione criminale dedita al traffcio internazionale di stupefacenti, e portò al sequestro di oltre 134 chili di cocaina. Fino agli arresti odierni.

La ricaduta di questa situazione è pesante per la società civile, con il consumo di stupefacenti e l’innalzamento dei reati di spaccio e microcriminalità connessi al mondo della droga in crescita esponenziale. Una piaga che ha portato a un uso di droghe nei giovani tra 15 e 19 anni molto superiore alla media regionale: secondo Espad Italia, circa il 4% ha già fatto uso di cocaina, oltre il 20 ha dichiarato di poterla trovare a scuola. E il 43% dei ragazzi livornesi ha consumato sostanze, rispetto a una media italiana del 33, e toscana del 36%.

In definitiva, le condizioni favorevoli per le molteplici attività criminali delle mafie nel principale scalo marittimo di una delle regioni più note al mondo, hanno messo radici e pesano negativamente in vari contesti: Livorno figura al nono posto della graduatoria nazionale sia per denunce registrate in rapporto agli abitanti sia in relazione al totale dei delitti commessi sul territorio, quali furti, estorsioni, riciclaggio, truffe, usura. E vanta anche un pessimo quarto posto in classifica quanto al riciclaggio di denaro e un quinto per lesioni colpose. Un primato che di sicuro non fa onore alla città natale di Pietro Mascagni, Amedeo Modigliani e Carlo Azeglio Ciampi.

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