Dal 30 luglio 2020 al 30 luglio 2021 si sono contati quasi 100mila conflitti: proteste, violenze contro civili, guerre, scontri armati, attentati. Tutto senza contare la situazione precipitata in Afghanistan, ma ricordando le migliaia di morti e feriti in Myanmar, dopo il colpo di stato della giunta militare, e il Messico con 89 politici uccisi in campagna elettorale e migliaia di omicidi e sparizioni. Sono i dati raccolti dall’Armed Conflict Location & Event Data Project.
Sono più di 50.000 le vittime in Afghanistan solo nell’ultimo anno e mezzo e quasi 500mila le persone rimaste uccise in Siria in dieci anni di guerra secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani. E ancora, nel mondo una donna su tre subisce forma di violenza fisica, sessuale o psichica. Uno studio dell’OMS e della Banca Mondiale riporta che la violenza domestica è la causa principale di morte o di lesioni gravi per donne tra 16 e 44 anni. 130 milioni di donne nel mondo hanno subito mutilazione genitale.
I numeri sono solo parte del racconto di questa violenza che ci arriva soprattutto tramite le immagini. Un progetto in mostra a Verona prova a esplorare in modo allargato e partecipato la relazione tra violenza, documento e verità pubblica attraverso l’uso del video. BLAST estetiche della violenza tra immagine, video e documento è una mostra, ideata e curata da Jessica Bianchera e Marta Ferretti. È il culmine di un progetto di ricerca iniziato a dicembre 2020 con l’obiettivo di affermare l’importanza dei linguaggi dell’arte contemporanea per analizzare e comprendere la realtà, anche della violenza.
La mostra si terrà dal 15 al 19 ottobre negli spazi di Palazzo Poste, ex sede delle Poste italiane, in occasione della XVI edizione di ArtVerona. «Cerca di coprire gran parte di quelle che sono le dinamiche attuali della violenza. Attraverso la voce degli artisti, si vogliono rendere visibili queste dinamiche che si assomigliano, ma, a seconda dei contesti, operano in modo differente» spiega Marta Ferretti.
«Siamo partite da presupposto che viviamo in una società dell’immagine» aggiunge Jessica Bianchera, «in cui si fanno molti usi dell’immagine da parte dell’utente medio anche in negativo con il Revenge Porn, ma anche da parte dei media per veicolare un certo tipo di verità e di valori. Volevamo vedere che risultato poteva arrivare dalla rielaborazione dell’immagine da parte degli artisti che sono anche ricercatori e attivisti».
La mostra è in un unico monitor con i video che vanno in loop, in fondo alla stanza. In quelli che erano gli sportelli ci sono invece gli archivi delle opere navigabili. Ci sono immagini girate, immagini da circuiti di sorveglianza, video di animazione in digitale, video giochi, video di performance. Non ci sono immagini di violenza esplicita. «Le immagini sono di artisti che conoscevamo già o con cui ci siamo confrontati. Ci siamo interrogati su come gestire e posizionarci come spettatori davanti al dolore degli altri. Le opere affrontano questi temi non raccontando la violenza su un corpo, ma raccontando interi sistemi e dinamiche che avvengono nei vari contesti» spiegano le curatrici.