TRIESTE L'ultimo anno scolastico è stato senza dubbio quello più difficile della storia recente. La pandemia da Covid-19 ha cambiato i ritmi della scuola e i modi di fare scuola. Come ha risposto a questa sfida epocale il mondo dell'istruzione? Aiuta a rispondere a questa domanda un libro di eccezionale valore documentario, il resoconto di un intero anno scolastico - da settembre 2020 a giugno 2021 - scritto da un professore di Lettere in un liceo: "La campanella. Diario di un anno scolastico in tempo di pandemia" (Editoriale Programma, pagg. 96, euro 7,90, da oggi in vendita con “Il Piccolo”). Ne è autore Roberto Carnero, per il quale quello trascorso è stato l'ultimo anno scolastico vissuto da docente, poiché nel frattempo è stato assunto dall'Università di Bologna come ricercatore di Letteratura italiana contemporanea. Ma nel congedarsi dal mondo della scuola, ha voluto lasciare una testimonianza di quanto è accaduto.
Professore, come è nata l'idea di questo libro?
«Il testo nasce da una rubrica che ho tenuto sulle pagine del "Piccolo" nel corso dell'anno scolastico passato. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, ho registrato quanto vivevamo a scuola e quanto stava succedendo a noi docenti, ma anche, soprattutto, ai ragazzi, che sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto alla pandemia».
Con quale scopo ha raccolto queste pagine?
«Volevo soprattutto documentare il nostro vissuto, ma anche offrire qualche spunto di riflessione sulla realtà della scuola in generale, al di là della pandemia. D'altra parte non si parla solo di scuola: perché la scuola è un mondo, e dunque nella scuola entra il mondo. Entrano la cultura, la letteratura (la mia materia di insegnamento), la politica, la società, con i suoi temi: l'emergenza sanitaria, certo, ma molte altre cose ancora».
Che immagine di scuola ne esce?
«Quella di un'istituzione capace di reagire, di reinventarsi, anche di sorprendere, grazie alla straordinaria professionalità dei docenti, i quali si sono da subito rimboccati le maniche per aggirare le difficoltà e continuare, seppure in altri modi, il proprio lavoro. Rimanendo "in trincea", a fianco dei loro ragazzi, interrogandosi ogni giorno su che cosa potevano fare di buono per loro».
La didattica a distanza è stata davvero quella disgrazia descritta da molti?
«Direi di no. Mi sembra piuttosto il contrario: se questa pandemia fosse scoppiata vent'anni fa, la scuola avrebbe chiuso per lunghi periodi e i ragazzi sarebbero stati abbandonati a sé stessi. Invece, grazie alle nuove tecnologie, abbiamo mantenuto il contatto. Detto cio, è chiaro a tutti che la didattica a distanza è un surrogato della vera scuola, fatta di frequenza, dialogo, confronto culturale, socializzazione».
Nel libro si coglie l'importanza di una qualità che ogni insegnante dovrebbe possedere: l'empatia.
«Il docente non è un sociologo né uno psicologo, né tanto meno deve sostituirsi alle figure genitoriali. È prima di tutto un professionista della conoscenza. Ma il "pane della sapienza", per dirla con Dante, si spezza nella relazione. E in ogni relazione va tenuto presente chi è il nostro interlocutore. I bambini e i ragazzi di oggi appaiono spesso fragili, in particolare in un momento così particolare come quello che stiamo vivendo. E allora a quegli adulti che tutti i giorni incontrano nella relazione educativa sono richieste caratteristiche peculiari, tra le quali sono essenziali l'attenzione e la sensibilità. L'ho visto nella mia esperienza personale: quando dai loro fiducia, i ragazzi ti offrono una risposta aperta e generosa».
Come sarà il nuovo anno scolastico?
«È una domanda che si pongono in molti, in particolare, naturalmente, studenti, genitori, insegnanti. La risposta non è scontata. Aleggia soprattutto una speranza: che possa essere un anno il più possibile "normale". Si sta provando a ricominciare la scuola così: con normalità, cioè tutti in presenza. Non c'è dubbio, tuttavia, che la pandemia abbia segnato in profondità il mondo scolastico, e che molte cose in futuro verranno fatte in modo diverso da come si facevano prima. Pensiamo solo al tema del digitale applicato alla didattica. Si è fatta di necessità virtù, sulla spinta dell'emergenza, ma i docenti hanno imparato nuove modalità di insegnamento, che rimarranno preziose, anche in vista di una migliore capacità di inclusione».
