Il romanziere ha ricevuto il riconoscimento “La storia in un romanzo”. «Dopo la pandemia metteremo da parte i problemi e rinasceremo»
Aggiunge un nuovo premio ai tanti già ricevuti dopo il successo mondiale di “Patria”, romanzo corale che racconta il terrorismo basco (un milione e mezzo di copie vendute, oltre 30 edizioni in tutto il mondo), lo scrittore Fernando Aramburu. “La storia in un romanzo”, riconoscimento istituito 14 anni fa da Crédit Agricole FriulAdria, gli è stato consegnato ieri pomeriggio, nel Teatro Verdi di Pordenone, dalla presidente della banca Chiara Mio, prima dell’incontro con il pubblico condotto da Alberto Garlini, “Forte di una cristallina visione etica, cerca di sviscerare la complessità dell'essere umano, in tutto ciò che lo contraddistingue e lo costituisce”, riporta fra l’altro la motivazione.
Con lo stesso sguardo lucido “da osservatore di questa umanità”, Aramburu ha affrontato nell’incontro con la stampa i temi che attraversano il “rumore di quest’epoca”, riagganciandoci al titolo dell’ultimo suo romanzo pubblicato in Italia, mentre è attesa il 18 ottobre, sempre per Guanda, l’uscita del nuovo libro, intitolato I rondoni. «Siamo alla fine di un ciclo: per decenni abbiamo vissuto nel benessere – dice - superato tabù, migliorato la democrazia, conquistato uno spazio di civiltà avanzato. Ma adesso ci troviamo in una zona di dubbio in cui i tabù ricompaiono e le nostre società sono state sicuramente influenzate negativamente dai social. Quale potrà essere il nostro futuro? Personalmente auspico qualsiasi tipo di avvicinamento fra i Paesi europei, a livello culturale, sportivo, politico e sociale».
Una zona di dubbio che si affaccia su un domani incerto, mentre il presente è ancora molto attraversato dal virus della violenza, che spesso si tenta di giustificare con ragioni ideologiche. «La violenza è uno dei cavalli di battaglia della mia letteratura, fa parte della natura dell’uomo, serve per conquistare la terra, il cibo, il potere, poi la specie umana ha gradualmente cercato di controllarla introducendo la legge, lo stato di diritto. Io provengo da una zona che per disgrazia ha subito per anni violenza a causa di un gruppo (l’Eta) che si è organizzato come i leoni o le iene, traendo vantaggio dal danno causato agli altri. A 15 anni sono stato esposto alla stessa tentazione, alla propaganda secondo cui avrei avuto il diritto di fare del male a qualcuno, per fortuna a 18 anni ho scoperto Camus e con lui mi sono vaccinato contro la violenza».
Quindi la letteratura può venirci in aiuto? «Il compito di noi scrittori dovrebbe essere aiutare le persone a interpretare la realtà in modo indipendente. La letteratura ha accesso diretto alla coscienza dei cittadini, anche se non avrà mai il potere di raggruppare masse sociali come i programmi televisivi visti contemporaneamente da tanta gente. Si deve accettare il fatto che la comunicazione è peculiare, intima, si legge da soli e si scrive da soli».
Ora che tipo di letteratura dobbiamo aspettarci dopo la pandemia? «Non sono un profeta – conclude Aramburu - ma dopo guerre e catastrofi l’essere umano ha sempre cercato di compensare le difficoltà cercando il piacere della festa, della commedia, dell’arte. E dopo i libri sulla pandemia in tutte le salse ho la sensazione che si vorranno mettere da parte i problemi e dimenticarli, come dopo la Prima guerra mondiale con i felici anni ’20».