Marco Casti, 55 anni, e il suo mese con l’infezione: mia moglie si era immunizzata, lei non si è ammalata. «Vaccinatevi»
La maschera d’ossigeno che copre tutto il volto e, sotto la visiera, due occhi chiusi. Quelli di Marco Casti, 55 anni, autista di Tper residente a Cento, ritratto durante le settimane di degenza nella Pneumologia del Sant’Anna. La maschera integrale è stato il salva-vita che l’ha separato dal mondo quando la pandemia gli ha presentato il conto. «Non ero vaccinato – racconta – Troppi dubbi e la sensazione di potercela fare, perché per più di un anno – pur essendo a contatto ogni giorno con tantissime persone sui pullman che attraversano i territori di Bologna, Ferrara e Modena – non mi sono mai ammalato». Casti non è un no-vax, ha stazionato a lungo però in quell’area grigia che dei «vaccini anti-Covid» non si fida. «È stato un gravissimo errore, lo riconosco. E oggi me ne rendo conto – commenta da casa, dove è rientrato quando è stato dimesso dall’ospedale e dove in queste ore attende l’esito dell’ultimo tampone molecolare – So che ho rischiato, sono stato a un passo dalla terapia intensiva, quando mi hanno portato in ospedale ho pensato veramente di non farcela. Ora dico e continuerò a ripeterlo: vaccinatevi. Questa non è una semplice influenza, come vuol far credere qualcuno, è una malattia insidiosa e imprevedibile. Può uccidere». La voce si rompe per l’emozione, il ricordo della paura di perdere tutto quanto si ha di più caro è ancora vivo anche se un po’ sopito con il miglioramento delle condizioni di salute.
la fame d’Ossigeno
Marco Casti lavora da 27 anni per Tper. «Nei primi mesi della pandemia giravamo senza mascherina, poi sono arrivate la seconda e la terza ondata – ricorda – Ma non sono mai stato contagiato, ho pensato che il virus potesse non essere così minaccioso da dover ricorrere al vaccino, che - si diceva - era stato preparato e sperimentato troppo in fretta». Così in famiglia si imboccano due strade diverse: la moglie si vaccina, lui no. Ad attenderlo dove si incrociano le esistenze individuali, i grandi flussi della collettività e anche il caso, c’era la quarta ondata dei contagi, in piena estate.
«Il 21 agosto, poco dopo essere rientrato dalla Sardegna, dove ho incontrato la mia famiglia d’origine, smontato dal turno di lavoro ho iniziato ad avvertire un certo malessere. La febbre era salita a 37.8°, ho fatto il tampone rapido e sono risultato positivo. Esito negativo invece per mia moglie. Nei giorni successivi la febbre è salita fino a 39-40 e il medico di base ha consigliato il trasporto in pronto soccorso a Cento», sintetizza Casti. La polmonite aveva già compromesso un polmone e stava intaccando l’altro. Sorprendentemente, commenta l’autista di Tper, viene dimesso e rientra a casa con una prescrizione di antibiotici, antinfiammatori, tachipirina per la temperatura, e cortisone. Passano i giorni, la febbre non si abbassa e la saturazione scende a 86-87. Arrivano l’affanno e la sensazione di mancanza d’aria. Nuovo ingresso nel pronto soccorso di Cento ma questa volta il viaggio si allunga fino a Cona, dove ad attenderlo c’è la Pneumologia del Sant’Anna. «Stavo malissimo, pensavo di non poter reggere il viaggio», spiega il paziente. L’ossigeno però non basta, a Cona indossa la maschera integrale diverse ore al giorno e alla notte. «Un’esperienza pessima, la prima notte mi hanno vegliato e ho rischiato di essere intubato – aggiunge Marco Casti – Sei isolato dai tuoi cari, ma in ospedale ho incontrato medici, infermieri, oss e altro personale splendido, umano. Lì ho lasciato un po’ del mio cuore». Tempo e farmaci hanno fatto effetto, il 13 settembre il ritorno a casa con 8 chili di meno. «Sto meglio – conclude – ma non sono ancora a posto. Ora voglio condividere questa lezione: vaccinatevi, chi non ve lo dice rischia di farvi del male».
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