Uno dei capi di biancheria più economici e semplici da reperire degli ultimi decenni, i collant di nylon, un po’ più di mezzo secolo fa erano letteralmente introvabili. Il motivo? L’inizio della Seconda Guerra Mondiale, in cui dimostrarono di avere un ruolo fondamentale. Era il 1938 quando l’azienda DuPont cominciò a produrre le prime paia di calze in nylon in seguito all’invenzione di Wallace H. Carothers. Queste vennero presentate nel 1939 all’esposizione internazionale di San Francisco, per poi essere lanciate sul mercato nell’ottobre dello stesso anno, a partire da un negozio di Wilmington, nel Delaware. Il motivo per cui DuPont investì in maniera cospicua sulle ricerche dello scienziato Carothers, fu il riconoscimento del valore economico di una fibra più elastica e versatile della seta, con cui fino a quel momento venivano realizzate le calze delle donne: gli Stati Uniti importavano infatti i quattro quinti della seta mondiale, e il 90% proveniva dal Giappone.
Ma, come ben sappiamo, con il passare del tempo gli orli femminili iniziarono ad accorciarsi, e la necessità di coprire la pelle delle donne con qualcosa – qualsiasi cosa – diventava sempre più grande, così come l’esigenza di avere calze meno delicate e che, soprattutto, si reggessero da sole. L’arrivo dei collant sugli scaffali fu un vero e proprio successo, dato anche da una forte campagna di comunicazione per, di fatto, eradicare la concorrenza di seta: a tre ore dal loro debutto, ben 4mila paia di calze andarono esaurite, per passare dopo meno di un anno, a 4 milioni di esemplari venduti in soli due giorni. Una rivoluzione della moda che, in ventiquattro mesi, portò DuPont a conquistare oltre il 30% del mercato globale dedicato alle calze da donna. Ma in che modo i collant entrarono a far parte della Seconda Guerra Mondiale?
Negli anni ’30, non erano solamente le calze ad essere realizzate quasi esclusivamente in seta, ma anche gli strumenti bellici: in particolar modo, i paracadute militari e la corda, anch’essi da materiali di importazione giapponese. Dopo l’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, gli Stati Uniti entrarono in guerra contro il Giappone e, improvvisamente, la produzione di nylon venne completamente dirottata per la produzione di funi da traino, serbatoi di carburante per aerei, giubbotti antiproiettile, lacci delle scarpe, zanzariere, amache e, soprattutto, paracadute. La richiesta di nylon fu talmente importante che persino il vecchio Zio Sam faceva appello a tutte le donne americane perché donassero i loro collant, essenziali per la riconversione bellica.
Va da sé che le donne, ormai abituate alla comodità delle calze in nylon – ma anche alla sensualità e allo stile che esse riflettevano – quando queste tornarono nei grandi magazzini nel 1945, il risultato fu un vero e proprio fenomeno di acquisto di massa: dopo anni di utilizzo del nylon per realizzare esclusivamente paracadute e altre forniture belliche infatti, le fabbriche di calze ripresero la loro normale attività, trovandosi di fronte una frenesia inaspettata, documentata dai giornali dell’epoca. La scrittrice di Tribune Edith Weigle ad esempio, realizzò un reportage viaggiando per tutto il Paese in autunno, descrivendo il processo di produzione delle calze di nylon e aggiornando gli acquirenti sulla disponibilità prevista.
«Poiché la domanda delle donne è apparentemente è senza fondo, a causa della completa mancanza di calze di nylon negli anni della guerra, i produttori sono uniti nel cercare di ottenere il maggior numero di calze il più rapidamente possibile. L’idea è di produrre calze di nylon, solo calze di nylon. Non colori stravaganti, non lunghezze delle gambe variabili» riportava la Weigle sul magazine americano. Basti pensare che nel 1945 ci fu una vera e propria «rivolta del nylon» nel nord della California, quando mille si precipitarono in una fabbrica di calze, che aveva appena prodotto 12mila paia, causando disordini e qualche rissa. Se vi foste mai domandati l’esistenza, in passato, di una sorta di Black Friday, eccone un esempio.