Priftis, direttore del Polo di Psicologia, ha autorizzato l’opera: «Lo studio Valle non può avere pretese»
PADOVA. A mettere il punto alla polemica sulla Street art e alle controversie interne all’Università, scatenate dal murales realizzato dall’artista francese Nerone all’interno della seconda edizione della Biennale Super Walls, è il professore Konstantinos Priftis, fino al 7 giugno direttore del Polo di Psicologia in via Venezia. «Prima di tutto il murales è bellissimo ed è perfettamente intonato con il contesto», scandisce Priftis.
«Moltissime persone, soprattutto i nostri studenti, giudicano questi edifici grigi e monotoni e i colori di Nerone hanno dato vivacità e allegria. Farei un sondaggio per dimostrare che la città è dalla parte della Biennale, dell’artista e dunque dell’Università. Basta leggere i commenti sul Mattino e i lettori non sono degli sciocchi o persone prive di cultura estetica e conoscenza architettonica. Non bisogna dimenticare o sottovalutare la terza missione dell’Università: l’insieme delle attività con le quali gli atenei interagiscono direttamente con la società e il proprio territorio di riferimento. Io stesso ho condiviso il murales sui miei social media e tutti hanno commentato che è una bella pubblicità per l’ateneo».
Resterà lì
Di cancellarla, come suggerisce lo studio Valle, non se ne parla: «Capisco la posizione dello studio Valle», continua Priftis, «ma non devo essere io ad insegnare a questi illustri professionisti che l’edificio non è sotto alcuna tutela storica, artistica o paesaggistica della Sovrintendenza e che dunque la proprietà – l’Ateneo – non era tenuta a chiedere alcun permesso. Alla luce del ragionamento dell’architetto Valle, forse inserire l’opera all’interno della piazza sarebbe stato un compromesso ben studiato: il murales sarebbe stato rivolto più agli studenti che a chi transita fuori dal polo universitario. Tuttavia bisogna anche considerare la natura stessa della Biennale, ovvero un fenomeno collettivo. In ogni caso, come ha spiegato il rettore, si tratta di un’opera temporanea e cancellarla improvvisamente mi sembra fin troppo impulsivo, oltre che una mancanza di rispetto nei confronti del lavoro dell’artista. Non siamo di fronte al Colosseo o all’Acropoli, il tempo farà il suo corso naturale».
La polemica
A chi contesta, l’ex direttore non le manda a dire. In particolare agli architetti che si sono espressi negativamente come Ordine: «Potenzialmente è giusto che l’Ordine degli architetti e paesaggisti partecipi a disegnare la città del futuro», sottolinea il professore, «tuttavia non si dimentichi che ci sono le leggi che proteggono e tutelano l’estetica delle città. Gli architetti costruiscono e creano, ma non possono decidere cosa si deve fare. Supponiamo che avessero avuto un’opinione negativa: chiudevamo alla Biennale e mandavamo via l’artista francese per questo? No, questa cosa non avrebbe avuto senso. Però potrebbe sollevare un bel conflitto di interessi: gli stessi architetti che legittimamente guadagnano denaro dalle costruzioni e dalle ristrutturazioni non possono essere le stesse persone che decidono dove si può intervenire».
Si poteva coinvolgere di più il mondo universitario? «Forse si, io per primo – e sto parlando come persona e non come direttore – avrei gestito questa cosa interpellando i colleghi. L’ateneo ha fatto tutto con regolarità: siamo stati informati della partecipazione dell’Università alla Biennale. Tuttavia si sarebbe potuto avere un approccio più equilibrato, coinvolgendo di più, ascoltando di più e alla fine decidendo comunque liberamente».